Falliscono gli sforzi per formare un governo di unità nazionale libanese. Sparati
due razzi dal Libano verso Israele
Nuovo stallo politico in Libano dopo la decisione di Saad Hariri di rinunciare alla
formazione di un governo di unità nazionale, mentre sale la tensione nell'area per
il lancio di due razzi dal confine libanese verso Israele. A portare alle dimissioni
del primo ministro designato, dopo dieci settimane di difficili mediazioni, è stato
l'ennesimo “no” di Hezbollah che ha respinto la sua lista di ministri. Appare comunque
molto probabile - secondo gli analisti – un reincarico ad Hariri per cercare di ricomporre
le fratture nel complesso panorama politico libanese. Sulle ragioni di questa crisi,
Stefano Leszczynski ha intervistato Maria Grazia Enardu, docente di
relazioni internazionali all’Università di Firenze:
R. - Il vero
problema della democrazia libanese è che è una democrazia su base confessionale, cioè
al di là dei voti espressi dagli elettori, come hanno fatto a giugno del 2009. Il
Parlamento è automaticamente diviso a metà, tra seggi musulmani e seggi cristiani,
con una complicata divisione interna. Anche le cariche istituzionali sono già predisposte.
Il presidente deve essere maronita, il primo ministro sunnita, e così via. In questo
contesto Saad Hariri ha provato a formare un governo che unisse
i due campi, anche perché il blocco di Hariri e il blocco di opposizione non sono
monolitici. Dentro l’uno e l’altro ci sono presenze cristiane, sunnite, sciite e così
via. D. – Come mai in un Libano che sembrava tutto sommato
abbastanza normalizzato negli ultimi tempi, continuano a esserci tante e forti influenze
e pressioni dall’esterno? R. – Perché il Libano è sempre stato,
nella sua lunghissima storia, una "dependance" della Siria e questo non si può cambiare
facilmente. Inoltre, è un Paese che ha subito grandissimi scossoni, basti pensare
agli arrivi dei profughi palestinesi - sia nel ’48 sia in parte minore nel ’67 - e
alla Guerra Civile libanese che è nata per ragioni interne. C’è inoltre una democrazia
molto fragile nelle sue strutture di base. D. – Il pericolo
che possa riesplodere la violenza in Libano è sempre molto reale. Questo cosa comporterebbe
oggi per gli equilibri della regione? R. – Può scoppiare una
guerra per un incidente simile a quello accaduto nel 2006, cioè una guerra per sbaglio
– come ammise Hezbollah – tra Hezbollah e Israele o situazioni del genere, ma credo
che i libanesi - dopo i terribili anni ’70 - siano vaccinati da questo punto di vista. D.
– L’unica strada percorribile resta quella della soluzione politica. Secondo lei ci
sono degli spiragli in un contesto del genere o si rende necessario tornare al voto? R.
– Il voto non cambierebbe molto proprio perché il sistema è ingessato su questa Costituzione.
Quello che probabilmente accadrà è che con altre settimane di passione si formerà
un blocco governativo con Hariri, però con posizioni di debolezza reciprocache
possono anche essere una garanzia di lunga vita. Iran – Ue -
Nucleare "Chi si oppone al sistema e tira fuori la spada dovrà fronteggiare
una dura risposta". Con queste parole la guida suprema dell’Iran, l'ayatollah Khamenei,
è tornato oggi a mettere in guardia l'opposizione e a difendere la rielezione del
presidente Ahmadinejad. Oggi a Teheran un altro alleato dell’ex candidato riformista
Mussavi è stato fermato. Si tratta del terzo oppositore ad essere arrestato in settimana
dalle autorità di Teheran. Intanto sul nucleare, lunedì prossimo, a Bruxelles, i ministri
degli Esteri dell'Ue discuteranno il dossier presentato dall'Iran mercoledì ai Paesi
occidentali. Lo ha annunciato oggi la presidenza svedese dell’Ue, in occasione della
riunione del Consiglio Esteri.
Pakistan – Cattura portavoce talebano Catturato
il portavoce dei talebani del Pakistan. Lo ha annunciato l’esercito di Islamabad che
da cinque mesi conduce un’ampia offensiva nella Valle di Swat definita roccaforte
della guerriglia afgana. Sull’uomo pendeva una taglia di circa 90mila euro. Con lui
sono stati arrestati altri quattro comandanti.
Sahara Occidentale “Attirare
l'attenzione internazionale sul dramma dei profughi del Sahara Occidentale”. Con questo
intento António Guterres, il responsabile dell'Alto Commissariato dell'Onu per i rifugiati
(Acnur) ha fatto visita a Tindouf, nel Sahara algerino, dove si trovano i campi di
raccolta che ospitano circa 150 mila profughi del popolo saharaoui, in fuga dai combattimenti
tra le truppe marocchine e il Fronte Polisario, attivo dal 1973 nella lotta contro
la colonizzazione. Il servizio di Marco Guerra: Era
dal 1976 che un Alto Commissario dell''Acnur non si recava nel profondo sud dell’Algeria,
terra d’approdo degli esuli saharaoui da oltre 30 anni. Nel ‘75 la Spagna si era ritirata,
infatti, dal Sahara Occidentale, ma l’ex colonia fu subito occupata dal Marocco. Ancora
oggi si tratta del più grande territorio non indipendente al mondo. “Un dramma dimenticato
dalla comunità internazionale'', lo ha definito l'Alto Commissario delle Nazioni
Unite per i rifugiati, António Guterres, ringraziando l'Algeria “per la protezione
data a questa gente per un così lungo periodo”. Nel corso della visita agli accampamenti
l’esponente dell'Acnur ha quindi annunciato un piano di aiuti di 12 milioni
di dollari. “Questa somma è insufficiente'', ha spiegato Guterres, “rispetto ai bisogni
enormi dei rifugiati il cui numero totale supera le 200mila persone”. Il responsabile
dell’agenzia dell’Onu ha poi assicurato il sostegno ad un programma per riunire
le famiglie saharaoui divise. Alla visita ha presenziato anche Abdelkader Taleb
Omar, presidente della Repubblica Democratica Araba Sahrawi, riconosciuta dall'Unione
Africana, ma non dall'Onu, che è tornata a chiedere un impegno internazionale per
una soluzione diplomatica del conflitto nel Sahara Occidentale. Uganda Secondo
giorno di violenze Kampala, capitale dell’Uganda, dove continuano gli scontri fra
le forze dell’ordine e i fedeli del re del Buganda, il principale dei quattro regni
che formano il Paese. Fonti ufficiali della polizia parlano di due morti e 43 feriti
ricoverati in ospedale, alcuni dei quali in gravi condizioni. Ma i media locali segnalano
che i morti potrebbero essere una decina. All'origine dei moti un contenzioso durissimo
tra le autorità governative e Ronald Mutebi II. Al re del Buganda sarebbe stato impedito
l'accesso in alcune aree del suo 'regno', di qui la sollevazione popolare dei suoi
seguaci.
Usa – Cina antiterrorismo Stati Uniti e Cina terranno discussioni
bilaterali sull'anti-terrorismo il prossimo autunno. Lo ha annunciato il segretario
di Stato Hillary Clinton a Washington durante l’incontro tra alcuni imprenditori
americani e il numero due del partito comunista cinese Wu Bangguo.
Taiwan L'ex
presidente di Taiwan Chen Shui-bian è stato condannato all'ergastolo per corruzione,
al termine di un procedimento giudiziario definito come il “processo del secolo”.
La sentenza odierna del tribunale distrettuale di Taipei conclude uno scandalo clamoroso
durato quasi tre anni e nel quale sono stati coinvolti anche la moglie di Chen, diversi
altri membri della sua famiglia e collaboratori. Chen, indebolito dallo scandalo,
si ritirò nel maggio dello scorso anno dopo l'elezione del suo successore Ma Yingjeou.
Russia-Venezuela Dopo
Russia e Nicaragua, il Venezuela è il terzo Paese a riconoscere l’indipendenza di
Ossezia del Sud ed Abkazia. È questo il maggior esito della visita a Mosca del presidente
Hugo Chavez. Nell’incontro di ieri, tra i due Paesi, sono stati siglati importanti
accordi economici. Sul riarmo, il presidente russo, Medvedev, ha assicurato che Mosca
è pronta "a fornire a Caracas le armi che il Paese chiederà", nel rispetto - ha precisato
- delle norme internazionali.
Croazia-Slovenia La Croazia e la Slovenia
hanno raggiunto un accordo sulle modalità per risolvere la disputa frontaliera nel
nord Adriatico, e di conseguenza Lubiana ha annunciato di essere disposta a togliere
il veto sull'adesione della Croazia all'Unione europea, posto a dicembre. Lo hanno
dichiarato il primo ministro sloveno Borut Pahor e la premier croata Jadranka Kosor
al termine di un incontro avvenuto questa mattina a Lubiana.
Moldova Il
presidente comunista moldavo, Vladimir Voronin, ha annunciato le sue dimissioni e
consegnato il potere alla nuova maggioranza filo-occidentale, uscita vittoriosa delle
scorse elezioni del 29 luglio. Per la prima volta dal 1991, il partito comunista ha
ottenuto solo la maggioranza relativa, ottenendo 48 seggi contro i 53 di cui dispone
la coalizione composta da quattro partiti liberali formatasi dopo le elezioni. (Panoramica
internazionale a cura di Marco Guerra) Bollettino del Radiogiornale
della Radio Vaticana Anno LIII no. 254 E' possibile
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del Radiogiornale. La richiesta può essere effettuata sulla home page del sito www.radiovaticana.org/italiano.