Il patriarca Scola al Festival di Venezia per il docufilm su Matteo Ricci
Il patriarca di Venezia Angelo Scola è intervenuto questa mattina alla Mostra del
Cinema di Venezia in occasione della presentazione del docufilm “Matteo Ricci un gesuita
nel regno del drago” organizzata dalla Fondazione Ente dello Spettacolo. Un’occasione
per riflettere sull’importanza storica e missionaria del grande gesuita che ha portato
nella Cina del XVI secolo la Parola di Cristo e il messaggio del Vangelo. Il servizio
di Luca Pellegrini:
In vista
del quarto centenario della morte di Matteo Ricci, apostolo del cristianesimo nelle
terre di Cina, che ci ha fornito un modello attuale di inculturazione del Vangelo
ed evangelizzazione delle culture, è stato presentato a Venezia in un incontro organizzato
dalla Fondazione Ente dello Spettacolo il documentario a lui dedicato scritto e diretto
dal regista albanese Gjon Kolndrekaj. Il patriarca di Venezia ha sempre messo in evidenza
la vocazione della città lagunare come luogo di scambio e di incontro tra culture
portatrici di valori e di semi d’umanità. Al cardinale Scola abbiamo chiesto se Matteo
Ricci, come uomo di Chiesa, e Venezia, come città del dialogo, trovano così una comune
vocazione…
"Direi di sì. Una vocazione legata alla straordinaria figura
di questo grandissimo gesuita e alla sua appassionata ricerca di una via d’inculturazione
nella grande Cina. Questa via ha seguito un metodo preciso: potremmo chiamarlo il
metodo dell’amicizia, della condivisione, che certamente dipendeva dalla forte domanda
di “perché” e quindi dal gusto di conoscenza che ne deriva che, a sua volta, dipende
da un’assunzione della sequela di Cristo nella sua integralità. L’uomo che segue Cristo
è mobilitato nella sua libertà e, a seconda delle energie, delle doti e dei doni che
si ritrova diventa capace delle imprese più formidabili, come ci dimostra Ricci. La
cosa che però mi ha impressionato di più, chinandomi un po’ su questa figura, è proprio
“l’amicizia come metodo d’inculturazione”, userei proprio questa formula. L’inculturazione
non è cioè una strategia, comincia da una condivisione. Da dove parte? Parte dalla
convinzione che tutti gli uomini, al di là delle loro radicali differenze – possiamo
immaginare cosa fossero allora queste differenze – hanno in comune un’esperienza elementare:
quella che gli antichi chiamavano “l’humanitas”. Hanno cioè uno sguardo unitario sulle
questioni decisive della vita, che si colora poi a seconda delle culture e delle religioni.
Ricci considera questo sguardo unitario come il valore pratico della convivenza. Questo
sguardo è un’esperienza e non una teoria. Lui non va alla ricerca di una teoria comune.
Lui si gioca nel paragone a partire da questa ferma convinzione".
Matteo
Ricci, originario di Macerata, è stato il primo missionario ad avere aperto il dialogo
con la Cina e l’Estremo Oriente. Oggi le incomprensioni spesso pongono barriere all’ascolto
dell’universale messaggio del Vangelo. Nel XVI secolo la pratica missionaria di Ricci,
assistito dalla Provvidenza, ebbe un grande successo. All’arcivescovo di Macerata,
mons. Claudio Giuliodori, abbiamo chiesto che cosa ci insegna
oggi padre Matteo:
“Ci insegna innanzitutto l’umiltà
che è necessaria per chiunque si voglia mettere in dialogo. Padre Matteo è stato umilissimo
nell’apprendere innanzitutto la cultura cinese, a partire dalla lingua. Ha studiato
approfonditamente la lingua a più riprese, rendendosi conto che solo attraverso l’amicizia
– il suo primo libro in cinese, è stato appunto sull’amicizia - poteva entrare nel
cuore di questo popolo che era molto restio ad aprire le frontiere. L’inculturazione
passa quindi attraverso un’assunzione della cultura, dello stile di vita, della mentalità.
Padre Matteo Ricci è entrato nel cuore dei cinesi ed ha poi saputo introdurre il Vangelo,
legandolo a quelle sensibilità tradizionali – soprattutto del confucianesimo – e contrastando
invece quelle forme religiose incompatibili come il buddismo e il taoismo. E’ quindi
un‘opera d’inculturazione davvero straordinaria ed è anche un’opera anche di dialogo
culturale che ha permesso all’Occidente e all’Oriente di avviare questa conoscenza
reciproca che poi nei secoli - tra contrasti e difficoltà - è presupposto anche per
affrontare, credo, le grandi sfide della globalizzazione che oggi si presentano”.