Religioni per la pace a Cracovia nello spirito di Assisi: con noi i cardinali Kasper
e Sepe, mons. Paglia e Marazziti
Sono entrati nel vivo a Cracovia, in Polonia, i lavori del convegno internazionale
per la pace “Uomini e Religioni in dialogo”, organizzato dalla Comunità di Sant’Egidio
e dall’arcidiocesi di Cracovia. 22 i seminari in corso tra questa mattina ed il pomeriggio
sul tema del dialogo per la riconciliazione tra i popoli in occasione del 70.mo anniversario
dell’inizio della Seconda Guerra Mondiale. Il servizio del nostro inviato Stefano
Leszczynski.
Quasi 300
relatori si alternano nella giornata odierna nel corso dei dibattiti su temi culturali,
politici, economici e religiosi nel quadro dei lavori del convegno internazionale
interreligioso in corso a Cracovia. Filo conduttore del dialogo che coinvolge esponenti
di tutte le religioni, politici, economisti, esponenti del mondo della cultura è quello
dei 70 anni dall’inizio del conflitto mondiale. Lavorare per la pace non è un’utopia
– ha sottolineato Andrea Riccardi, fondatore della Comunità di Sant’Egidio – e lo
spirito di Assisi, che è tornato in Polonia a 20 anni dalla caduta dei regimi comunisti,
lo sta a dimostrare. Era, infatti, il 1989 quando la Comunità di Sant’Egidio promuoveva
per la prima volta a Varsavia un’incontro di preghiera interreligiosa, proprio pochi
mesi prima della caduta del Muro. Oggi, l’Europa è emersa definitivamente dagli orrori
della guerra grazie a molti operatori di pace e si è fatta essa stessa fattore di
dialogo e di pacificazione tra i popoli. Un concetto che il presidente della Commissione
europea José Manuel Barroso ha espresso in occasione della seduta inaugurale avvenuta
ieri sera presso l’Auditorium Maximum dell’Università Jagellonica. Ma la pace non
è un qualcosa che si possa acquisire una volta per tutte – ha sottolineato il cardinale
Dziwisz, arcivescovo della città di Giovanni Paolo II – che ha ricordato le molte
minacce che giungono dai conflitti in essere in Afghanistan e Iraq. Elemento di preoccupazione
sono anche i tanti conflitti dimenticati, come quelli africani. E non a caso il convegno
ha riservato una speciale attenzione proprio ai temi del continente africano, dilaniato
da crisi politiche ed economiche, da emergenze umanitarie e sanitarie. Qui – ha sottolineato
il mons. Benoit Alowonou, vescovo di Kpalimé, in Togo – la strada del dialogo tra
le religioni e tra i popoli rappresenta una sfida vitale per la sopravvivenza di milioni
di persone. Degli effetti della crisi economica globale su Paesi più poveri ha parlato
invece l’ex direttore generale del Fondo Monetario Internazionale, Michel Camdessus,
che vede in essa una sfida alle tradizioni religiose, in quanto la sua intensità non
si spiega se non per una cultura dell’idolatria di fronte alla quale gli uomini di
religione si vengono a trovare ed al relativismo diffuso. Il rabbino David Rosen ha
invece sottolineato l’importanza per il rispetto dell’altro, del diverso, come elemento
essenziale del dialogo, in particolare di fronte all’indifferenza che talvolta il
mondo politico dimostra verso i valori espressi dalle religioni. Domani, sarà ancora
il tema della guerra mondiale ad essere al centro dell’incontro di Cracovia, con la
processione silenziosa dei leader religiosi nel campo di sterminio nazista di Auschwitz.
La sera infine la conclusione ufficiale dell’evento con la preghiera comune per la
pace nella Piazza del mercato della città vecchia.
Da
Cracovia, dunque, si leva un grido unanime per la fine dei tanti conflitti che devastano
il mondo. Ascoltiamo in proposito il cardinale Walter Kasper, presidente del
Pontificio Consiglio per la Promozione dell’Unità dei Cristiani, intervistato dal
nostro inviato Stefano Leszczynski:
R. – Sì, ci
sono ancora molti conflitti ed in Europa non tutte le ferite sono già guarite, basti
pensare anche ai contasti tra musulmani e cristiani, tra musulmani ed ebrei. Ci sono
tanti conflitti anche nel Terzo mondo ed è compito dei cristiani contribuire alla
risoluzione di questi conflitti e penso che questo dialogo, che abbiamo qui, è di
certo uno dei mezzi più appropriati per risolvere questi conflitti, perché si deve
parlare anche delle ferite esistenti. In questo modo si può contribuire – come anche
con la preghiera – alla loro risoluzione.
D. – Si
è parlato molto di dialogo interreligioso. A che punto è, invece, il dialogo tra i
cristiani?
R. – Facciamo buoni progressi con gli
ortodossi e gli orientali ortodossi. Ci vuole sicuramente ancora del tempo, ma stiamo
facendo dei passi avanti. Con i protestanti è invece un po’ più difficoltoso, anche
se ci sono nuovi movimenti – come i carismatici, i pentecostali ed altri ancora –
con cui stiamo iniziando a parlare. Speriamo così di dare un contributo a questo compito
mondiale della riconciliazione.
Ma qual è la
costante degli incontri di Cracovia? Stefano Leszczynki lo ha chiesto al vescovo
di Terni Vincenzo Paglia, per tanti anni assistente ecclesiastico generale della
Comunità di Sant'Egidio:
R. - Io
direi che la costante fu posta da Giovanni Paolo II quella sera del 27 ottobre dell’86,
quando disse che la pace attendeva i suoi artigiani e non era una responsabilità di
alcuni, magari della politica o della diplomazia, ma era la responsabilità di tutti
gli uomini di buona volontà in particolare i credenti. Da allora questo evento di
rinnova di città in città, mentre il mondo cambia gli scenari, che sono a volte talmente
diversi da essere difficilmente collegabili e tuttavia una dimensione resta comune:
la pace è anzitutto un dono di Dio, per questo la preghiera è alla radice della pace.
In questo pianeta la dimensione religiosa che attraversa i popoli è quel filo rosso
che permette alla pace di non essere mai straniera alla vita degli uomini.
Tra
gli incontri di Cracovia, uno è stato dedicato all’Africa: era presente il cardinale
arcivescovo di Napoli Crescenzio Sepe: ascoltiamolo al microfono di Patricia
Ynestroza:
R. - E' importante
il fatto che anche la Comunità di San’Egidio abbia messo all’ordine del giorno in
una tavola rotonda il problema dell’Africa, che è un problema molto sentito, molto
vissuto, in tutta la Comunità ecclesiale. In modo particolare, abbiamo visto quando
il Santo Padre si è recato in Africa, come ha sottolineato fortemente questa dimensione.
Io credo che questo continente, che costituisce una forte potenzialità per tutta la
cattolicità, vada aiutato. E va aiutato non con un assistenzialismo che non risolve
i problemi, ma dando agli africani quelle possibilità di autorealizzarsi per poter
sviluppare in maniera forte la loro identità, e questo da un punto di vista economico,
finanziario, culturale e religioso. E l’educazione, la formazione in genere, sono
un elemento fondamentale su cui costruire la nuova Africa.
Al
centro di una tavola rotonda il tema del vivere insieme in un mondo plurale: all’incontro
ha partecipato Mario Marazziti, portavoce della Comunità di Sant’Egidio. Ecco
la sua riflessione al microfono di Patricia Ynestroza:
R. – Vivere
insieme in un mondo plurale è la sfida di oggi. La coabitazione era un fatto normale
nel Mediterraneo: ebrei, cristiani, musulmani. Oggi assistiamo a delle città spaventate,
dove i ricchi stanno da una parte, si sentono assediati dagli altri, dove la paura
sembra la parola d’ordine, dove la parola ‘sicurezza’ sembra l’imperativo. Ma in realtà,
oggi, sta crescendo assieme a questa paura anche il rischio di una paura dell’altro,
che arriva a diventare "em-pietà", assenza di "pìetas", assenza di compassione, come
è accaduto nelle morti terribili, nel Mediterraneo, con lo scarso sdegno morale, lo
scarso senso di colpa del nostro mondo ricco verso queste persone, colpevoli solo
del reato di speranza.