Pellegrinaggio dell'Unitalsi "Bambini di pace" in Terra Santa
Grande entusiasmo al pellegrinaggio dell'Unitalsi "Bambini di pace" iniziato ieri
in Terra Santa e giunto alla sua sesta edizione. Partecipano all'iniziativa 150 bambini,
300 papà, mamme e nonni e 150 volontari. Oggi tappa al Lago di Tiberiade dove gli
animatori hanno inscenato la pesca miracolosa per spiegare ai più piccoli il significato
dei segni di Gesù. Il pellegrinaggio è guidato da mons. Luigi Moretti, vicegerente
della diocesi di Roma, e dal presidente nazionale dell'Unitalsi, Antonio Diella,
che al microfono di Eliana Astorri racconta come i piccoli pellegrini si sono
preparati a questa esperienza straordinaria nella terra di Gesù:
R. – Noi
abbiamo iniziato a lavorare con i bambini preparando tutto un percorso di conoscenza
del territorio, dei problemi del territorio e delle persone di questo territorio.
Per mesi i bambini hanno studiato i vestiti, le feste che realizzeremo insieme ai
bambini del luogo, i posti che vedranno. Il tutto nell’ottica di far materializzare
davanti ai loro occhi quello che hanno sempre sentito raccontare: i luoghi di Gesù,
degli Apostoli, del primo popolo che è arrivato in quella terra con una promessa.
C’è stato tutto un percorso, ma soprattutto un percorso di festa e di gioia che ha
coinvolto i bambini ed anche i genitori per arrivare in Terra Santa sapendo di essere
alla fine di un percorso che ci apre alla prospettiva di vedere il Signore con noi,
in mezzo ai bambini, in segno di pace per tutti.
D.
– Quanti anni hanno questi bambini?
R. – Partono
da quattro anni per arrivare fino ai dodici, tredici.
D.
– I ragazzi più grandi, come diceva lei, di tredici-quattordici anni, hanno consapevolezza
di quello che succede da decenni in quell’area, del conflitto israelo-palestinese?
R.
– Questi ragazzi hanno due consapevolezze: si rendono conto che andiamo in un luogo
dove le persone non sono d’accordo tra loro e si rendono anche conto, però, che l’immagine
di quella terra non può essere soltanto un’immagine violenta, perché in effetti non
è così. Molti luoghi dove andremo sono zone dove non esiste un conflitto armato. Esiste
piuttosto un’evidente difficoltà di rapporti tra popoli, tra persone che vivono vicine.
Se ne rendono conto, hanno fatto degli studi anche su questo perché siamo arrivati
insieme alla convinzione che anche la nostra presenza e quella dei bambini - che non
hanno difficoltà a riconoscersi in un’amicizia con bambini di altri luoghi e di altre
popolazioni - sarà un segno importante per dire: “Ricostruiamo insieme un rapporto
ordinario di convivenza e di amicizia”. (Montaggio a cura di Maria Brigini)