Raid Nato in Afghanistan: oltre 90 morti. Molte vittime tra i civili
Strage in Afghanistan: un raid della Nato a Kunduz, nel nord del Paese ha provocato
almeno 90 morti, tra questi circa 50 guerriglieri, ma anche molti civili. Condanna
da parte del presidente uscente Karzai che ha immediatamente ordinato un’inchiesta:
“i civili innocenti – ha detto Karzai - non devono essere uccisi durante le operazioni
militari”. Un inchiesta è stata aperta anche dal segretario generale della Nato Rasmussen.
Il servizio è di Paolo Ondarza.
Su questo
tragico evento, Giancarlo La Vella ha sentito Simona Lanzoni, dell’organizzazione
Pangea Onlus, che da anni opera in Afghanistan con progetti di solidarietà:
R. – Cose
di questo genere vanno purtroppo a rafforzare il sentimento di delusione della popolazione
afghana nei confronti della presenza internazionale. Bisognerebbe capire meglio che
cos’è l’Afghanistan in questo momento e come funziona. Questa è la prima volta che
al nord avviene un attacco Nato; di solito le operazioni dell’Isaf sono concentrate
nel sud. A nord c’è il passaggio di petrolio e gas dalle repubbliche dell’ex Unione
Sovietica verso l’interno del Paese. Sono strade in cui appena succede un evento tutti
vanno a guardare. Bisogna, quindi, conoscere bene come funziona la vita in Afghanistan.
Solo questo darà le chiavi per realizzare realmente operazioni militari vincenti non
solo dal punto di vista strategico, ma anche nei confronti della popolazione ed è
fondamentale sapere che, nel momento in cui si attacca un mezzo che trasporta carburante,
non si stanno attaccando solo i talebani, ma anche tutte le persone che, con loro,
cercano di approfittare di quella situazione, per appropriarsi di qualche litro di
carburante. D. – Da una parte, quindi, il contingente internazionale
che ha difficoltà a controllare il territorio, dall’altra il rischio che i talebani
riprendano in mano le sorti del Paese. Di questo secondo aspetto che cosa pensano
gli afghani? R. – Gli afghani sono semplicemente stanchi. Vogliono
la pace, la possibilità di poter portare i loro figli all’ospedale e a scuola tranquillamente,
saper che cosa dar loro da mangiare giorno per giorno e questo ancora non succede.
Per gli afghani quindi, che siano talebani o altri ad andare al potere diventa quasi
ininfluente, anche se in realtà non è così, perché sappiamo bene che non vogliono
tornare indietro né al periodo dei mujaheddin, né a quello talebano. Noi, come fondazione
Pangea, siamo presenti in Afghanistan ormai dal 2003 ed abbiamo visto peggiorare la
situazione lentamente, nel tempo, in quanto a mancanza di sicurezza, ma soprattutto
anche all’impoverimento che subisce la gente giorno per giorno. Le difficoltà scoraggiano
sempre di più le persone, soprattutto rispetto a tutte le speranze che dal 2001 ad
oggi sono purtroppo state deluse.