La visita del Papa a Viterbo: la tappa al Santuario della Madonna della Quercia
Accanto a Santa Rosa, la co-patrona della diocesi di Viterbo è la Madonna della Quercia,
venerata nel Santuario omonimo dove Benedetto XVI farà tappa nella sua visita pastorale
di domenica prossima. Qui, prima di recarsi a Bagnoregio - dove offrirà una riflessione
su San Bonaventura - pregherà insieme a circa 120 claustrali che giungeranno da una
dozzina di monasteri della diocesi. Il servizio di Antonella Palermo.
Laddove
la fede ha prevalso, la grazia del Signore ha abbondato. E’ la storia del Santuario
della Madonna della Quercia, edificato nelle immediate vicinanze di Viterbo, dove
è tutto pronto per accogliere il Papa. Qui dalla metà del ‘400 sono accaduti fatti
straordinari in cui i viterbesi hanno subito riconosciuto i segni di un intervento
divino. Dalla città salvata dalla peste nell’agosto del 1467 al bombardamento che
nella II Guerra Mondiale risparmiò proprio questo luogo. Tutto cominciò da un’immagine
con il volto della Madonna e il Bambino che un cittadino viterbese fece dipingere
su una tegola rimasta attaccata ad una quercia. La devozione dei fedeli crebbe a tal
punto che ora quella stessa tegola è custodita in una basilica preziosa di opere d’arte.
Nell’attesa di Benedetto XVI è ancora vivo il ricordo di quando Giovanni Paolo II
25 anni fa la incoronò con il suo Rosario. Il rettore don Angelo Massi:
“E’ il ricordo più bello che possiamo avere. Partendo dal Santuario della
Quercia disse ai querciaioli: ‘Ho lasciato una corona del Rosario alla vostra Madonna
di Quercia. Sia il ricordo di una preghiera che deve sempre circondare la Madonna
santissima, per la pace, per il mondo, per i giovani, per tutti’”.
Profondamente
legato a questo luogo - perché vi è nato - è mons. Dante Bernini.
vescovo emerito di Albano Laziale, spiega l’importanza di San Bonaventura, che fu
anch’egli vescovo qui per due anni:
“Bonaventura dà a un francescanesimo,
nato dal cuore di Francesco su ispirazione dello Spirito Santo, qualcosa che Francesco
nella sua genuinità evangelica non è che avesse dimenticato, ma non aveva messo in
luce quanto necessario, e cioè il rapporto fra la fede e la ragione, intendendo al
primo posto la fede, perché valeva per Francesco in modo definitivo e ineludibile,
e la ragione, sempre conservando quella preminente presenza della carità che Francesco
aveva di fatto nel suo cuore e aveva trasmesso alla sua famiglia religiosa e che,
però, Bonaventura riesce a coniugare in un modo più profondo – se vogliamo – e più
incisivo per la vita della Chiesa”.