Il regime del Myanmar contro le minoranze: migliaia i profughi
La situazione umanitaria continua ad essere drammatica nel nord-est del Myanmar, dove
migliaia di civili hanno lasciato i loro villaggi riversandosi sul confine con la
Cina in seguito all’offensiva militare dell’esercito birmano. Il regime sta cercando
di porre fine alla ribellione dei gruppi etnici che abitano questa zona del Paese.
Secondo Pechino i profughi starebbero rientrando. Sulla crisi umanitaria Emer McCarthy
ha sentito Jeremy Woodrum, direttore della Campagna Stati Uniti per la Birmania:
R. – Basically,
the area ... Fondamentalmente, in quest’area della Birmania il regime militare
non è molto presente. Il regime vuole prendere il controllo della zona e quindi sta
effettuando attacchi da anni. Uno particolarmente tremendo è avvenuto nel 1996, quando
il regime ha distrutto molti villaggi. E adesso sta intensificando le operazioni militari
anche più che negli anni passati, in particolare dopo l’approvazione della nuova Costituzione
che ha messo fuorilegge qualsiasi movimento operi al di fuori degli apparati nazionali.
Quindi, ora il regime sta eliminando ogni sorta di opposizione nel Paese. Credo che
quello che sta accadendo adesso in quell’area peggiorerà. In questa situazione molte
persone scappano. L’informazione governativa dice che 10 mila persone sono fuggite,
ma l’Alto Commissariato Onu per i rifugiati parla di almeno 30 mila persone. D.
– Anche i civili sono rimasti coinvolti negli scontri? R. –
Yes, absolutely. Our sources are... Sì, assolutamente. Le nostre fonti si
trovano all’interno del Paese e lo confermano. Gli scontri stanno continuando in questi
giorni. Il regime militare ha cominciato tutto questo e vuole raggiungere il suo obiettivo:
vuole eliminare l’opposizione una volta per tutte. E i civili stanno pagando il prezzo
più alto. Noi ci aspettiamo che il conflitto si estenda nella parte più settentrionale
del Paese, dove ci sono molti cattolici, e dove è presente una minoranza che opera
al di fuori del controllo del regime militare. Il regime sta cercando con forza di
farli entrare nell’esercito nazionale, ma loro non ne hanno nessuna intenzione. Ritengo
estremamente probabile che il conflitto si estenderà anche nelle aree cattoliche. D.
– Cosa sta facendo la comunità internazionale per affrontare la questione? Perché
le sanzioni non hanno effetto? R. – Well, I mean, basically... Fondamentalmente,
l’Occidente, gli Usa, il Regno Unito, la Francia, il Consiglio di Sicurezza, non stanno
affrontando questi problemi. L’unica cosa di cui parla il Consiglio di Sicurezza,
per quanto riguarda il Myanmar, sono i prigionieri politici e il caso di Aung San
Suu Kyi, che sono delle questioni molto importanti, fondamentali per la riconciliazione
in Birmania, ma nello stesso tempo c’è questa enorme crisi umanitaria, con migliaia
di sfollati. E se non saranno affrontati questi problemi, se non se ne parlerà, non
ci sarà nessuna pressione sulla Cina perché impedisca al regime di sferrare i suoi
attacchi. Ma non fare pressioni sulla Cina è molto in contrasto con quanto stanno
facendo gli Stati Uniti per la Corea del Nord, il Sudan e forse anche lo Zimbabwe.
Si tratta di coinvolgere la Cina e spingerla a prendere una decisione, accettando
anche dei compromessi: se la Cina mostrerà flessibilità sulla questione birmana, allora
anche l’Occidente affronterà la questione.