L'intenzione missionaria di settembre del Papa dedicata ai cristiani in difficoltà
di Laos, Cambogia e Myanmar. Intervista con padre Angelo Pelis
“Perché i cristiani nel Laos, in Cambogia e in Myanmar, che incontrano spesso grandi
difficoltà, non si scoraggino nell’annunciare il Vangelo ai loro fratelli, confidando
nella forza dello Spirito Santo”. recita così l’intenzione di preghiera missionaria
di Benedetto XVI per il mese di settembre. Ma qual è la situazione della Chiesa nel
Laos? Lo abbiamo chiesto a padre Angelo Pelis, missionario Oblato di Maria
Immacolata, che dal 1963 al 1985 ha svolto il suo servizio nel Paese e che oggi è
postulatore della Causa di beatificazione di padre Mario Borzaga e di un catechista,
uccisi nel Laos nel 1960.
R. - La Chiesa
vive in una situazione che non chiamerei di persecuzione oggi. E’ stata perseguitata,
perché sono stati perseguitati soprattutto i pochi sacerdoti e i laici nei villaggi:
si è giunti al colmo di chiedere l’apostasia. Oggi, la Chiesa vive sotto il controllo
delle autorità.
D. - Quali sono state le conseguenze
nella Chiesa locale?
R. - Due dati concreti. Dal
1975, nel nord Laos c’è un solo sacerdote che purtroppo ha anche sofferto anni di
prigionia. Poi però, liberato, è rimasto e dal 1998 è amministratore apostolico. il
secondo dato è che dal 1975, nel nord Laos, non si è più celebrata l’Eucarestia. Questa
è la grossa sofferenza che ancora viviamo.
D. - Padre
Angelo, che cosa è cambiato in positivo in questi anni?
R.
- Qualche mese fa, parlo del mese di gennaio, dopo 34 anni, a Luang Prabang - antica
capitale reale, sempre nel nord Laos - è tornata una comunità religiosa femminile
che si occupa di un gruppo di audiolesi, sordomuti. Nella capitale Vientiane,
invece, c’è dal 1983 un vescovo oblato, nativo del Laos, mons. Jean Khamse
Vithavong, che ha portato avanti la sua missione e con molta fatica. Era rimasto con
pochissimi sacerdoti - alcuni di loro malati e anziani - che hanno sofferto soprattutto
nello spirito i condizionamenti e i controlli delle autorità. Anche lui però ha avuto
la soddisfazione e la grande gioia, dopo 30 anni, nel giugno di tre anni fa, di vedere
ordinati sacerdoti due giovani che hanno fatto i loro studi al’estero.
D.
- Qual è la sua speranza per il Paese?
R. - E’ che
si possa trovare una via di maggior dialogo con il governo del Laos, che ultimamente
sembra aver compreso la fondamentale missione umanitaria della Chiesa cattolica. Quindi
la speranza è che un giorno possa essere dato anche a noi stranieri, che siamo stati
i primi nell’evangelizzazione - parlo soprattutto dei francesi, ma anche noi italiani
dal 1957 - di poter tornare nel Paese. Ma la speranza bella è lì sul posto. La realtà
alla quale faccio riferimento è il seminario, per così dire, nazionale aperto nel
sud Laos, che accoglie circa 20 giovani e da dove pian piano stanno venendo fuori
i nuovi sacerdoti.