Mons. Martinelli: tragica la situazione degli immigrati respinti in Libia
I conflitti in Somalia e nel Sudan. Sono questi i dossier al centro del vertice dell’Unione
Africana che si è aperto stamani a Tripoli, in Libia. In particolare, i leader del
continente cercano un accordo per un forte sostegno al governo di transizione somalo
e per un rafforzamento delle missioni di peacekeeping nella martoriata regione sudanese
del Darfur. Nel corso del summit saranno poi affrontate le situazioni politiche in
Guinea e Madagascar, Paesi teatro di stati colpi di Stato condannati dall'Unione Africana.
I capi di Stato prenderanno parte anche ai festeggiamenti per il 40.mo anniversario
della rivoluzione che portò al potere Muammar Gheddafi. E nel Paese la Chiesa cattolica
continua la sua attività pastorale. Sulla sua identità ascoltiamo mons. Giovanni
Innocenzo Martinelli, vicario apostolico di Tripoli, al microfono di Bernard Decottignies:
R. - E’
una Chiesa di diaspora, composta in prevalenza da stranieri. Potrei dire che è una
fisionomia afroasiatica. Molti vengono dall’Asia per contratti di lavoro, negli ospedali
e nelle compagnie, soprattutto filippini ed indiani. Altri vengono dall’Africa, buona
parte dal sud-Sahara, qui in Libia in cerca di fortuna ed anche per passare dall’altra
parte del Mediterraneo. Questi sono in prevalenza clandestini.
D.
- Come vive la fede la Chiesa in Libia?
R. - In genere,
non c’è stata mai grande difficoltà di culto. C’è rispetto, di norma. Per quanto riguarda
il servizio religioso, siamo liberi di andare dovunque in tutta la Libia e nei diversi
cantieri e nelle varie zone - dove ci sono soprattutto filippini - negli ospedali,
sempre con il dovuto rispetto dei libici che ci danno questa possibilità di recarci
in varie parti. Attualmente, è forte il fenomeno dell’immigrazione. Abbiamo possibilità
di esprimere anche la nostra attività sul piano sociale, sia nell’assistenza a questa
massa d’immigrati in arrivo, sia nelle visite nelle varie zone, soprattutto nelle
prigioni, nei centri di raccolta.
D. - Qual è la situazione
in questi centri di raccolta?
R. - Sono veramente preoccupanti,
una tragedia: tutta questa massa d’immigrati che vengono in Libia per trovare delle
vie di uscita, per cercare di andare dall’altra parte e come ben sappiamo sono respinti.
Respinti in Libia, provano a trovare un modo per sopravvivere, perché non è sempre
facile e non tutti riescono a trovare lavoro o sono in regola con i documenti. La
Chiesa, perciò, è un punto di riferimento, almeno per i cristiani, per cercare di
sopravvivere e quindi di ricevere le cure primarie.