Giappone: dimissioni di Taro Aso dopo la storica vittoria dei Democratici
Il partito democratico giapponese vince le elezioni ed infrange il primato di quasi
54 anni di governo ininterrotto dei liberaldemocratici. Taro Aso, leader del Kiminto
e primo ministro, ha dovuto riconoscere la netta sconfitta ed ha rassegnato le dimissioni
sia dal governo che dalla guida della sua formazione politica. I democratici hanno
infatti conquistato la maggioranza assoluta dei seggi alla Camera Bassa. Il servizio
da Tokyo di Piergiorgio Pescali:
Sarà il partito
democratico di Yukio Hatoyama ad avere il compito di trascinare il Giappone lontano
dalle acque tempestose della recessione economica e sociale.Con
308 seggi alla Camera Bassa, i democratici conquistano la maggioranza assoluta, mentre
i liberaldemocratici, dopo 54 anni di ininterrotta supremazia, passano all’opposizione
con 119 deputati. Anche il tradizionale alleato del partito liberaldemocratico, il
New Komeito Party, ha subito un tracollo passando da 31 a 21 membri. Tengono i comunisti
e i socialdemocratici, che entreranno nella Camera Bassa con nove e sette rappresentanti.Con la vittoria del Partito democratico si conclude una lunga fase della
storia giapponese. I nipponici hanno inviato una chiara intenzione di cambiamento
alla classe politica. Hatoyama, che ha già confermato che il suo sarà un governo di
coalizione con socialdemocratici e New People’s Party, dovrà ora mantenere le ambiziose
promesse fatte durante la campagna elettorale. E
sullo storico cambio alla guida della politica nipponica, Giancarlo La Vella
ha raccolto il commento di Antonio Fatiguso, responsabile della sede Ansa di
Tokyo:
R. – I cambiamenti
all’inizio un po’ spaventano, però, nel caso del Giappone, sono sicuramente dei cambiamenti
salutari. Salutari perché si tratta di un Paese che è stato praticamente egemonizzato
negli ultimi 54 anni dal Partito liberaldemocratico, il quale ha portato anche ad
ingessare il Paese e la sua struttura organizzativa. Uno dei punti forti del programma
del Partito democratico è proprio la lotta alla burocrazia. Paradossalmente qui c’è
stato un “partito-padre” per 54 anni, ma l’instabilità politica è stata altissima:
il Partito liberaldemocratico è diviso in fazioni così agguerrite tra di loro che
alla fine i governi hanno avuto vita piuttosto breve, tranne alcune eccezioni, come
il primo ministro Junichiro Koizumi, ancora amatissimo. Dinanzi a questa instabilità
chi alla fine ha diretto e governato il Paese è stata appunto la burocrazia, cioè
gli alti burocrati che, ai vertici dei ministeri, sono stati i veri e propri ministri
e la cosa è alquanto singolare.
D. – Tra gli obiettivi
dichiarati in campagna elettorale dal Partito democratico c’è quindi lo snellimento
della politica interna?
R. – Sì. In sostanza la politica
deve riprendere il comando e la gestione dell’apparato amministrativo. La politica
deve decidere l’apparato amministrativo, cosa che attualmente non fa.
D.
– Quale sarà, secondo gli osservatori, l’atteggiamento del nuovo governo in politica
estera, soprattutto nei rapporti con le grandi potenze come ad esempio la Cina?
R.
– Oggi c’è stato un interessante intervento di Gerald Curtis, che è un professore
di Scienze Politiche della Columbia University ed è un grande conoscitore del Giappone.
Egli diceva che non succederà nulla, almeno nell’immediato, nel senso che – come ha
detto lo stesso Hatoyama – il Giappone è un Paese asiatico e quindi è normale che
abbia maggiori legami con il resto dell’Asia, nonostante non ci siano mai state delle
grandi simpatie per motivi storici ed anche per altre ragioni. C’è comunque la consapevolezza,
in Giappone – soprattutto nel fronte democratico – che l’Asia possa essere vista dal
Giappone come una sorta di “mercato domestico”. Da questo punto di vista non possono
che esserci dei vantaggi, anche perché il partner americano – che fino a non molto
tempo fa era il primo in assoluto nell’interscambio commerciale – mostra qualche acciacco
e per la ripresa ci vorrà, forse, ancora un po’ di tempo.