“La previsione e l’informazione climatologica al servizio dell’assunzione di decisioni”:
è il tema al centro della III Conferenza mondiale sul clima che si apre oggi a Ginevra
sotto l’egida dell’Organizzazione Meteorologica Mondiale. Benedetto XVI ieri, al termine
dell’Angelus, ha richiamato i Paesi industrializzati a cooperare per il futuro della
Terra e perché non siano i più poveri a pagare il prezzo più alto dei cambiamenti
climatici. Ma quanto è effettivamente possibile oggi prevedere tali cambiamenti? Amedeo
Lomonaco lo ha chiesto ad Antonio Gaspari, direttore del master in Scienze
Ambientali dell’Ateneo Pontificio Regina Apostolorum.
R. – Nonostante
l’aumento della capacità tecnologica di vedere le nuvole e i venti abbiamo una previsione
del tempo che si riferisce ad una durata massima di tre giorni. Questa era la stessa
capacità di previsione che c’era nell’immediato dopoguerra. C’è quindi bisogno di
una rivoluzione scientifica anche in questo campo. Ma la previsione meteorologica
è il primo passo. Non basta avere una maggiore tecnologia, c’è anche bisogno di una
buona politica. E’ lo sviluppo che garantirà una misura di difesa nei confronti delle
variazioni climatiche. D. – Cosa manca per rendere questa previsione
ancora più efficace? R. – Bisogna guardare tutto con un realismo
maggiore ed utilizzare complessivamente questa capacità tecnologica e di previsione
con molto raziocinio. Bisogna poi cambiare anche le prospettive: non si può pensare
di utilizzare i cambiamenti climatici per manovre speculative. Si deve finalizzare
l’intero processo tecnologico allo sviluppo reale dell’umanità. Questo significa avere
un interesse verso l’uomo e non far prevalere, invece, gli interessi speculativi che
tendono, ad esempio, a moltiplicare i titoli azionari. Ci deve essere un approccio
complessivo che si liberi da questi condizionamenti della finanza, che punti ad usare
tutte le virtù che la tecnologia offre. Ma, soprattutto, si deve favorire un approccio
in funzione dello sviluppo dell’uomo. D. – Quale contributo
offre e può ancora dare la Chiesa in un ambito così rilevante come quello climatologico? R.
– Da questo punto di vista, l’ultima Enciclica di Benedetto XVI, “Caritas in veritate”,
è un capolavoro. E’ un contributo fondamentale perché stabilisce quali siano i principi
fondamentali – non solo antropologici ma anche concreti – per garantire lo sviluppo
delle tecnologie e della scienza in funzione della crescita dell’uomo. Tutta l’Enciclica
punta ad un cambiamento della mentalità e del cuore dell’uomo, ad un allontanamento
da principi utilitaristici per favorire una crescita dell’umanità. Si deve promuovere
un utilizzo della tecnologia non come “magia”, ma come un servizio in favore di questo
progresso per tutti e non solo per una parte del mondo. D. –
Le emergenze legate al clima possono realmente favorire una risposta responsabile
da parte del mondo della politica? R. – Non c’è dubbio. Una
maggiore conoscenza permette una maggiore capacità di affrontare i problemi ed anche,
in alcuni casi, di risolverli. Il problema, però, rimane quello di capire quanto l’approccio
scientifico legato ai problemi climatici sia anche efficace. Si discute ancora, ad
esempio, se l’aumento della concentrazione di anidride carbonica (CO2) sia un fenomeno
che sta davvero 'incendiando' il pianeta o se, invece, faccia parte di una fluttuazione
naturale tipica del clima. La questione è di stabilire quanto costi questa riduzione
di CO2 e quanto sia davvero efficace tale riduzione.