Dio, la musica e i giovani: il compositore Giovanni Allevi si racconta alla Radio
Vaticana
Osannato dal pubblico, soprattutto giovanile, ma spesso bersaglio delle critiche dei
colleghi, Giovanni Allevi è un fenomeno che non si può ignorare. Il primo settembre,
il quarantenne pianista suonerà all’Arena di Verona con la sua “All Stars Orchestra”,
composta da 90 musicisti provenienti da tutto il mondo. Un’occasione per parlare con
il compositore marchigiano di musica, del mondo giovanile e del suo rapporto con Dio.
L’intervista a Giovanni Allevi è di Alessandro Gisotti:
(musica)
R.
- La musica, per me, è un’esigenza viscerale: l’ho definita una strega capricciosa
che ha monopolizzato la mia vita, che bussa alla mia testa, viene a trovarmi in ogni
momento e mi suggerisce una manciata di note che io, poi, devo raccogliere, sviluppare
fino a plasmarle in un pentagramma musicale ed eseguirle, infine, con un pianoforte
oppure con un’orchestra. Ma questo è un fatto tecnico. La realtà è che la musica è
un modo straordinario, entusiasmante, affascinante per raccontare il nostro tempo.
D.
- Dio si può trovare anche tra le note di uno spartito?
R.
- Sì, sì. Io non ho avuto difficoltà ad ammetterlo. Ho più volte ribadito che chiunque
svolga un qualche tipo di attività artistica e creativa, prima o poi deve fare i conti
con un’alterità, con Qualcuno che regge le fila del discorso, con un mistero che ci
circonda. Quindi, il passo verso la trascendenza è brevissimo…
D.
- Lei suona il pianoforte ma spopola tra i giovani come una pop star: perché?
R.
- Perché? Perché i giovani sono meravigliosi! Sono molto più profondi, molto più sensibili,
poetici di quanto noi possiamo immaginare. Sono circondato da una nuova generazione
di sognatori, di visionari… Anche se ci troviamo in un momento di crisi, sembra vogliano
tornare all’essenzialità delle cose, alla gioia di prendere di nuovo in mano il destino
della propria esistenza.
D. - Lei definisce la sua
musica “classica contemporanea”: non è un’affermazione che offre il destro alle critiche
che tante volte ha ricevuto?
R. - Assolutamente sì.
Ne sono consapevole e lo sapevo dall’inizio, ma questa è la realtà delle cose. Una
definizione può essere considerata una parola vuota, se non ci fosse una vita all’interno
di quella mia definizione. E’ tutto il tormento che c’è dietro a queste due parole:
il mio lasciare la famiglia, il lavoro, la casa e tutto, a 28 anni, per inseguire
il mio sogno e restare ore, fino a notte fonda, davanti ad una partitura per riempirla
di note e darle una forma: ecco, è lì che ho capito che cosa significa la musica classica
contemporanea. Cioè, è un linguaggio musicale colto - perché utilizza una notazione
scritta - e che grazie ad essa riesce ad elaborare delle forme più complesse di quelle
che noi siamo abituati ad ascoltare in una canzone pop, cioè una semplice alternanza
strofa-ritornello. Grazie alla scrittura, si possono creare delle sinfonie, delle
fughe, dei quartetti, dei quintetti, dei mottetti… ecco, queste sono le forme che
la tradizione classica ci ha tramandato, forme straordinarie che però noi dobbiamo
continuamente aggiornare e riempire di contenuti che prendiamo a prestito dalla realtà
che ci circonda, che però è sempre diversa, sempre nuova. Ci sarà sempre una musica
nuova, ci sarà sempre una musica contemporanea, e se questa si sviluppa all’interno
della tradizione e delle forme della tradizione classica europea, ecco che c’è la
musica classica contemporanea. Ma non lo dico solo per me…
D.
- Insomma, si può amare allo stesso tempo Mozart e Michael Jackson?
R.
- Dunque, Mozart e Michael Jackson sono assolutamente due geni indiscussi, ma appartengono
a due generi musicali differenti. Io credo nella specificità del genere, nella purezza
del genere. Io credo che esista una musica classica, che tramanda determinate, ben
precise forme attraverso la scrittura. Michael Jackson è un elemento di genialità
all’interno di una tradizione pop-rock, che è un’altra storia.
D.
- Suonare la rende felice?
R. - Sì. Mi fa vivere
intensamente. Tutte le emozioni sono accelerate, sono esagerate: l’ansia, la paura,
quelle ci sono. Però, quando arriva l’applauso, quando arriva l’abbraccio del pubblico,
tutto svanisce ed io mi sento in paradiso.
D. - Cosa
consiglierebbe ad un ragazzo che, magari, ascoltando “Joy” o “No concept” abbia voluto
mettere le mani sul pianoforte?
R. - Eh, ma ce ne
sono tanti che poi mi scrivono e mi dicono: voglio diventare bravo come te. E io rispondo
loro: no, tu mi devi superare, mi devi stracciare, devi prendere spunto da quanto
mi è accaduto non per fermarti a farmi un complimento: non mi interessa. Ma per vivere
lo stesso entusiasmo che ho vissuto io e per fare come me e meglio di me. (musica)