Lo scacchiere geopolitico dell'est europeo a 20 anni dagli sconvolgimenti del 1989.
L'opinione di Fabrizio Dragosei
Polonia, Ungheria, Ucraina: sono molti i paesi dell’ex blocco sovietico che celebrano
in questi giorni la ritrovata indipendenza e libertà dall’oppressivo regime comunista
di Mosca. In molti casi, questi processi politici trovarono il loro apice esattamente
20 anni fa in seguito agli avvenimenti che nel 1989 sconvolsero molti regimi dell’Europa
orientale. Un percorso storico-politico che durò diversi anni, ma che nell’era gorbatcheviana
trovarono il loro punto di partenza e per molti versi cambiarono il corso della storia
d’Europa. Stefano Leszczynski ha intervistato Fabrizio Dragosei, corrispondente
del Corriere della Sera:
R. - L’’89
segnò una grande accelerazione al processo che Mikail Gorbaciov aveva avviato da quando
era diventato segretario generale del Pcus, a metà degli anni ’90, per trasformare
il regime comunista. Ricordiamoci che il suo intento non era quello di portare l’Urss
e l’impero sovietico alla democrazia, ma quello di razionalizzare, di farlo funzionare
meglio, e di renderlo anche più umano. A questo servivano la “perestrojka”
e la “glasnost”. Quindi, l’’89 da un lato segna la libertà che prorompe e che non
è più contenibile e dall’altra il fallimento del disegno gorbacioviano di trasformare
lentamente e con prudenza il sistema comunista per mantenerlo in vita.
D.
- Molti dei Paesi che hanno ritrovato la libertà e l’indipendenza nel corso di questo
ventennio, tuttavia non sono riusciti a trovare una stabilità in tutti questi anni.
Come mai?
R. - Io penso che, intanto, questo sia
dovuto fondamentalmente ad un’idea sbagliata di ciò che poteva essere la democrazia
ed era il capitalismo secondo quelli che vivevano nei Paesi dell’est. Il passaggio
dal sistema comunista, dirigistico, da un sistema guidato dall’alto ad un sistema
capitalistico, come sappiamo, non aveva precedenti nella storia. Fu difficilissimo.
D.
- Per quanto riguarda i nuovi sistemi politici che emergono da questo sconvolgimento
politico nell’Europa orientale, nell’ex Unione Sovietica, si ha l’impressione che
molti Stati cercarono di passare dall’essere satelliti sovietici o ex sovietici ad
essere satelliti nel blocco occidentale. C’è stata insomma una situazione di satelliti
"migranti", per così dire...
R. - Assolutamente sì,
e questo processo è legato a quello che dicevamo prima del mito dell’Occidente, per
cui all’inizio soprattutto si pensava che tutto ciò che veniva dall’Occidente fosse
buono. C’è stato un movimento a pendolo. In un primo momento, questi Paesi si sono
avvicinati immediatamente molto all’Occidente e poi si sono nuovamente allontanati,
quando hanno visto che la trasformazione era dolorosa, tanto che in diversi Paesi
sono tornati al potere i comunisti, una cosa che a priori sarebbe sembrata assolutamente
impossibile e inspiegabile. Adesso, quello che si è verificato negli ultimissimi anni,
da quando Putin ha preso il potere in Russia, è stato invece un nuovo avvicinamento
all’Occidente di tutti questi Paesi, perché è rinata la paura dell’”Orso Russo”. Con
il pericolo che la Russia ridiventi di nuovo forte e che imponga il suo volere su
Paesi abbastanza deboli, ecco che vediamo Ucraina, Georgia e tanti altri Stati riavvicinarsi
moltissimo alla Nato, all’Unione Europea: vogliono, cercano protezione da questa parte.
D.
- E’ un processo non finito ancora quello in Europa orientale?
R.
- E’ un processo non finito assolutamente, perché sono Paesi ancora estremamente instabili.
Ed è un processo che è molto legato, secondo me, all’evoluzione che avrà Mosca, perché
da quello potrà dipendere una futura collaborazione tra Mosca e Washington sulla gestione
di tutta questa area, che inevitabilmente è di interesse comune. E da questo potrà
anche dipendere il futuro della gestione di un’altra area fondamentale, l’Asia centrale,
dalla quale dipendiamo tutti per l’energia.