L’assolutismo della tecnica nega lo sviluppo integrale della persona: la riflessione
del prof. Lucio Romano sulla “Caritas in veritate”
Per conseguire uno sviluppo autentico, è urgente “una formazione alla responsabilità
etica nell’uso della tecnica”: è il richiamo di Benedetto XVI nella Caritas in
veritate, il cui ultimo capitolo è proprio dedicato allo “sviluppo dei popoli
e la tecnica”. Il Papa sottolinea che, “attratta dal puro fare tecnico, la ragione
senza la fede è destinata a perdersi nell’illusione della propria onnipotenza”. E
aggiunge: la ricerca sugli embrioni, la clonazione “sono promosse dall’attuale cultura
del disincanto totale che crede di aver svelato ogni mistero”. Su queste riflessioni
di Benedetto XVI, Alessandro Gisotti ha raccolto il commento del prof. Lucio
Romano, ginecologo dell'Università Federico II di Napoli e presidente dell’associazione
“Scienza e Vita”:
R. – Il Papa
pone all’attenzione di tutti il problema – estremamente avvertito – di come la tecnica
oggi rappresenti un dato da prendere in considerazione, in ragione anche del passaggio
epocale da una globalizzazione delle ideologie ad una sorta di globalizzazione della
tecnica. Vediamo quindi che, essendo la tecnica una questione sociale è ineludibile
che la questione sociale in quanto tale richiami anche una questione antropologica.
Qui entriamo nel cuore del tema, cioè di come la tecnica non venga assolutamente rifiutata
da parte del Papa. Ma, laddove la tecnica rappresenti una negazione dell’uomo, un
superamento dell’uomo inteso in ottica distruttiva – con tutto ciò che ne può conseguire
-, evidentemente non risponde più ad un’ars etica. Il Papa propugna una tecnica si
arricchisca di senso e di valore. Il senso ed il valore non possono essere altro che
trovati nella dimensione squisitamente umana di una verità antropologica, dove la
libertà si coniuga con la responsabilità. D. – Il Papa mette
in guardia proprio dalla tentazione dell’umanità di pensare di "potersi ricreare da
sé" attraverso i prodigi della tecnica, della tecnologia. In un certo qual modo un’attualizzazione
del mito di Prometeo… R. – E’ il tentativo che l’uomo cerca
da sempre di mettere in essere, la cosiddetta “autopoiesi”: l’uomo che produce se
stesso, l’uomo che riproducendo se stesso crede di essere padrone del mondo. Il discorso
diventa altrettanto importante perché si vanno a confrontare due razionalità, così
come il Papa richiama alla nostra attenzione. Da una parte, la razionalità dove la
ragione è aperta alla trascendenza e, dall'altra, una ragione che invece è chiusa
nell’immanenza. La dimensione di una tecnica che si autosupporta, si autogratifica
è una ragione chiusa nell’immanenza, che non va oltre la dimensione squisitamente
orizzontale e, non prendendo in considerazione una verità trascendente, nega la stessa
dignità dell’essere uomo. Fede e ragione si aiutano a vicenda. Se noi consideriamo
la dimensione tecnica da sola, questa rischia di cadere nello scientismo puro; altrettanto
la fede, senza la dimensione della ragione, potrebbe rischiare di cadere nella dimensione
del fideismo puro. La fede e la ragione insieme ci danno la possibilità di riconoscere
la verità. D. – Il Papa sottolinea che oggi il "campo primario
di questa lotta culturale tra l’assolutismo della tecnica e la responsabilità morale
dell’uomo è quello della bioetica"… R. – Sì, una bioetica che
si richiami ad un’antropologia di riferimento. Un’antropologia di riferimento sicuramente
personalista, nella dimensione di un personalismo ontologicamente fondato, dove c’è
quindi la dimensione di una difesa e di una tutela della vita, dal concepimento fino
alla morte naturale e non certamente una bioetica fondata su un’assoluta dimensione
di autodeterminazione di libertà irrispettosa dell’uomo. Quello che invece riteniamo
una dimensione rispettosa della dignità dell’essere uomo è una bioetica che tenga
conto della presa in carico della persona, che l’assista, che si prenda cura, che
le sia affianco, che sia tutela della sua vita e che l’accompagni anche nelle fasi
terminali a quello che è il naturale progredire, verso la morte naturale. Una bioetica
che sia quindi rispettosa dell’uomo e rispettosa di una ricerca scientifica che non
sia però sostitutiva del rispetto e della dignità dell’essere uomo.