I conflitti dimenticati in Africa uccidono ogni anno 3000 persone
Oltre 3000 persone muoiono ogni anno nelle guerre africane. Dell’Africa si parla poco
sui media internazionali e a causa della disinformazione l’opinione pubblica mondiale
spesso è indifferente ai drammi che affliggono il continente. Ma quali sono oggi i
cosiddetti “conflitti dimenticati”? Silvia Koch lo ha chiesto al prof. Giampaolo
Calchi Novati, ordinario di Storia e istituzioni dei Paesi Afro-Asiatici all’Università
di Pavia.
R. – Durante
la guerra c’è la possibilità di occupare alcune zone produttrici di risorse, per esempio
di diamanti, delle pietre preziose e di altre miniere, come è avvenuto nel Congo.
La parte nordorientale è probabilmente fuori dal controllo del governo centrale ed
è continuamente oggetto di tensioni e qui c’è un aspetto positivo che sembrerebbe
essersi sviluppato con un accordo che è stato raggiunto fra il Congo e il Rwanda,
che erano i principali competitori.
D. – Quali sono
i conflitti dimenticati oggi in atto nel continente africano?
R.
- La Somalia e il Sudan. C’è una situazione di conflittualità poco nota, nella fascia
subsahariana saheliano-sudanese. Il Congo va sempre ricordato. Un caso
poco noto è quello della Guinea Bissau, dove passa – pare - tutto il traffico della
droga in transito per l’Africa e teatro recente, in effetti, di un colpo di Stato.
D.
– Quali possono essere le cause che accomunano i principali conflitti africani?
R.
– Fin dall’indipendenza lo Stato africano non ha mai goduto del monopolio legale della
violenza. Questa caratteristica rende più facile che altrove questo progressivo scivolamento
di una crisi politica in una crisi a sfondo bellico. La guerra ha come obiettivo la
conquista del potere dentro un Paese.
D. – In che
modo le incredibili risorse del continente africano intervengono nell’economia di
guerra che alimenta il conflitto interno...
R. –
Il problema delle risorse ha due facce. Da una parte è una delle poste del conflitto.
Da un altro punto di vista, le risorse attivano la guerra perché danno la possibilità
ai ribelli di ottenere fonti per poter acquistare armi, per poter reclutare soldati,
truppe, di aumentare i traffici illeciti di armi o di beni o di droghe. Quindi la
guerra in sé è una specie di “facitrice” di risorse.
D.
–I fattori che determinano la mediatizzazione o meno di alcune parti di un conflitto
africano?
R. – Quando c’è molto interesse è probabile
che ci siano dietro degli interessi materiali o strategici. Il fatto che l’opinione
pubblica sia interessata solo di tanto in tanto fa sì che si ignorino le permanenze,
le cause, le radici dei conflitti. Devo dire che la capacità dell’opinione pubblica
internazionale di influire sulle vicende della periferia del mondo si sta abbassando.
C’è una specie di connivenza che tollera forme di repressione, di violenza, nei confronti
dei Paesi e dei popoli che non appartengono al centro del sistema.
D.
– Molti degli interventi degli organismi internazionali che hanno tentato di arginare
i conflitti africani hanno fallito. Quali sono stati i principali errori commessi?
R.
– Troppe volte le grandi potenze che gestiscono gli interventi internazionali hanno
dei secondi fini, perchè vogliono ottenere delle commesse, vogliono difendere certi
interessi. Quindi, la premessa di tutto è che si intervenga, avendo come obiettivi
lo sviluppo, la pace, la riconciliazione e la ricostruzione, se ci sono stati dei
conflitti. Un caso felice di soluzione c’è stato in Mozambico, mediato dall’Italia,
in parte dalla Comunità di Sant’Egidio e in parte dal Ministero degli Esteri, e andrebbe
preso come campione.