2009-08-16 14:40:40

I conflitti dimenticati in Africa uccidono ogni anno 3000 persone


Oltre 3000 persone muoiono ogni anno nelle guerre africane. Dell’Africa si parla poco sui media internazionali e a causa della disinformazione l’opinione pubblica mondiale spesso è indifferente ai drammi che affliggono il continente. Ma quali sono oggi i cosiddetti “conflitti dimenticati”? Silvia Koch lo ha chiesto al prof. Giampaolo Calchi Novati, ordinario di Storia e istituzioni dei Paesi Afro-Asiatici all’Università di Pavia. RealAudioMP3

R. – Durante la guerra c’è la possibilità di occupare alcune zone produttrici di risorse, per esempio di diamanti, delle pietre preziose e di altre miniere, come è avvenuto nel Congo. La parte nordorientale è probabilmente fuori dal controllo del governo centrale ed è continuamente oggetto di tensioni e qui c’è un aspetto positivo che sembrerebbe essersi sviluppato con un accordo che è stato raggiunto fra il Congo e il Rwanda, che erano i principali competitori.

 
D. – Quali sono i conflitti dimenticati oggi in atto nel continente africano?

 
R. - La Somalia e il Sudan. C’è una situazione di conflittualità poco nota, nella fascia subsahariana saheliano-sudanese. Il Congo va sempre ricordato. Un caso poco noto è quello della Guinea Bissau, dove passa – pare - tutto il traffico della droga in transito per l’Africa e teatro recente, in effetti, di un colpo di Stato.

 
D. – Quali possono essere le cause che accomunano i principali conflitti africani?

 
R. – Fin dall’indipendenza lo Stato africano non ha mai goduto del monopolio legale della violenza. Questa caratteristica rende più facile che altrove questo progressivo scivolamento di una crisi politica in una crisi a sfondo bellico. La guerra ha come obiettivo la conquista del potere dentro un Paese.

 
D. – In che modo le incredibili risorse del continente africano intervengono nell’economia di guerra che alimenta il conflitto interno...

 
R. – Il problema delle risorse ha due facce. Da una parte è una delle poste del conflitto. Da un altro punto di vista, le risorse attivano la guerra perché danno la possibilità ai ribelli di ottenere fonti per poter acquistare armi, per poter reclutare soldati, truppe, di aumentare i traffici illeciti di armi o di beni o di droghe. Quindi la guerra in sé è una specie di “facitrice” di risorse.

 
D. –I fattori che determinano la mediatizzazione o meno di alcune parti di un conflitto africano?

 
R. – Quando c’è molto interesse è probabile che ci siano dietro degli interessi materiali o strategici. Il fatto che l’opinione pubblica sia interessata solo di tanto in tanto fa sì che si ignorino le permanenze, le cause, le radici dei conflitti. Devo dire che la capacità dell’opinione pubblica internazionale di influire sulle vicende della periferia del mondo si sta abbassando. C’è una specie di connivenza che tollera forme di repressione, di violenza, nei confronti dei Paesi e dei popoli che non appartengono al centro del sistema.

 
D. – Molti degli interventi degli organismi internazionali che hanno tentato di arginare i conflitti africani hanno fallito. Quali sono stati i principali errori commessi?

 
R. – Troppe volte le grandi potenze che gestiscono gli interventi internazionali hanno dei secondi fini, perchè vogliono ottenere delle commesse, vogliono difendere certi interessi. Quindi, la premessa di tutto è che si intervenga, avendo come obiettivi lo sviluppo, la pace, la riconciliazione e la ricostruzione, se ci sono stati dei conflitti. Un caso felice di soluzione c’è stato in Mozambico, mediato dall’Italia, in parte dalla Comunità di Sant’Egidio e in parte dal Ministero degli Esteri, e andrebbe preso come campione.







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