Anno Sacerdotale: quando il sacerdote esercita il suo ministero in realtà degradate,
l’esperienza di padre Garau a Palermo
Talvolta i sacerdoti si trovano ad esercitare il loro ministero in realtà difficili,
minacciati dalla malavita e soggetti a regimi di protezione. E’ quello che è accaduto
a padre Antonio Garau, oggi parroco della chiesa di Maria Santissima del Carmelo
ai Decollati a Palermo, che impegnatosi in quartieri disagiati e degradati, ha vissuto
alcuni anni sotto scorta. Il sacerdote palermitano ha raccontato la sua storia al
microfono di Tiziana Campisi:
R. – La
mia vocazione nasce da un’esperienza di vita dovuta alla morte di mio padre – avevo
8 anni – che mi ha fatto ritrovare a vivere in mezzo ai sacerdoti. Mi sono ritrovato
in mezzo ai salesiani e come esperienza è stata molto forte, molto bella. La figura
di San Giovanni Bosco mi ha molto toccato. E così, da quel giorno in poi, pian piano,
ho maturato l’idea di andare avanti nel sacerdozio. Da seminarista ho fatto l’esperienza
nel carcere dei minorenni dell’Ucciardone, e l’esperienza, il rapporto, il contatto
con questi ragazzi ha dato una grande spinta alla mia scelta sacerdotale. Infatti,
il mio essere sacerdote poi mi ha portato in quartieri “di prima linea” …
D.
– Lungo questi anni, che cosa ha potuto assaporare della vita sacerdotale?
R.
– Intanto, l’esperienza più bella è l’esperienza della misericordia di Dio, sia nel
riceverla che nel darla. Una volta, ho confessato una bambina di prima comunione –
appena nove anni! – che mi disse: “Devo chiedere perdono a Gesù perché ancora nella
mia vita non riesco a metterlo al primo posto!”. Quando le ho dato l’assoluzione,
mi sono messo a piangere. Ogni giorno mi sento sempre più piccolo nel vivere questo
sacramento, per l’importanza che ha ma specialmente per la testimonianza cui sono
chiamato giorno per giorno nel nome di Dio.
D. –
Quali sono i “momenti bui” di padre Antonio Garau?
R.
– I “momenti bui” sono tanti, sono stati tanti! Io ho vissuto dal ’93 al ’99 sotto
la scorta della polizia perché dopo la morte di padre Puglisi, Palermo ha vissuto
un momento drammatico; la speranza era proprio scomparsa. E lì è stato un momento
molto difficile perché mi sono ritrovato solo ad affrontare la scorta, ad affrontare
la mafia, ad affrontare questo andare peregrinando per tutta l’Italia a dare testimonianza
di lotta alla mafia e di sensibilizzazione delle coscienze. Così, poi, momenti un
po’ difficili quando ho dovuto cambiare parrocchia. Poi, dopo dieci anni, venire anche
in questa nuova realtà dove mi ha mandato il cardinale De Giorgi. Prima non avevo
le strutture, e avevo le persone; qui, invece, avevo le strutture e non avevo le persone.
Avevo il campo di calcetto, camminavo, passeggiavo, pregavo e dicevo: “Signore, ma
insomma, perché sono venuto qua? Ho tutto ma non ho le persone! Allora, a che serve?”.
E la grazia di Dio mi ha sempre aiutato. Ma se oggi io sono ancora sacerdote è perché
ho messo la mia vita nelle mani del mio confessore, che mi ha sempre aiutato, che
mi ha sempre accompagnato, che mi ha sempre guidato alla luce della Parola di Dio,
alla luce del discernimento sulla mia vita e mi ha sempre incoraggiato ad andare avanti
e mi ha sempre dato degli ottimi consigli.