Dibattito sulla sentenza del Tar contro l'ora di religione
Continuano le polemiche in Italia dopo il pronunciamento del Tribunale amministrativo
regionale del Lazio, che ha escluso la partecipazione agli scrutini degli insegnanti
di religione cattolica, ritenendo illegittimi i conseguenti crediti formativi. Il
Ministro dell’Istruzione Gelmini, che ha annunciato ricorso presso il Consiglio di
Stato, ha ribadito l’intenzione di voler “accrescere e valorizzare il ruolo degli
insegnanti di religione” coinvolgendoli maggiormente sin dal prossimo anno in attività
di formazione. Una sentenza, quella del Tar, secondo l’Osservatore Romano, che discrimina
di fatto sei milioni di studenti e tutti quei docenti che, dopo un concorso, si trovano
ora ad essere considerati professori di “serie B”. Federico Piana ha intervistato
Francesco D’Agostino, presidente dell’Unione Giuristi Cattolici Italiani:
R. – La tradizione
religiosa italiana fa parte, in maniera costitutiva, delle tradizioni storico-culturali
del nostro popolo. Cosa ha fatto fondamentalmente il Tar? Ha dequalificato i docenti
di religione, riducendoli in qualche modo a docenti di 'serie B', e qualificando lo
stesso insegnamento della religione, come un insegnamento privo di dignità didattica.
Tant’è vero che i risultati, positivi o negativi, che un ragazzo potrebbe acquisire
in questa disciplina, in base al Tar, dovrebbero essere completamente ignorati dal
collegio dei docenti. Questo credo sia una vera e propria assurdità culturale, prima
che giuridica.
D. – Il ministro dell’Istruzione Gelmini
ha parlato di discriminazione...
R. – Poiché l’insegnamento
della religione nasce, come sappiamo tutti, dal Concordato tra Stato e Chiesa, e poiché
quello che ha fatto il Tar è comunque una lacerazione del Concordato, i cattolici
giustamente potrebbero dire che questa sentenza del Tar si traduce di fatto in un
atto di discriminazione nei loro confronti. E’ tutta la cultura italiana, però, che
dovrebbe percepire questa sentenza del Tar come qualcosa che la ferisce, perché, ripeto,
l’insegnamento della religione a scuola non ha nulla propriamente di confessionale,
finalizzato al proselitismo, serve a far capire che non si può tagliar via la tradizione
religiosa dalla storia e dalla cultura di un popolo. Ho tanta paura che, adottando
prospettive inspiegabilmente laiciste, i magistrati del Tar non abbiano capito proprio
questo: che se un giovane italiano cresce ed entra nell’età adulta, ignorando il fatto
religioso cristiano, la sua identità culturale è terribilmente povera e lui sarà sempre
un cittadino in qualche modo carente di una dimensione essenziale della sua formazione.
D.
–Il Consiglio di Stato a questo punto cosa farà?
R.
– Io mi auguro che il Consiglio di Stato faccia marcia indietro e annulli la sentenza
del Tar. Certi attacchi laicisti alla tradizione cristiana sono palesemente pregiudiziali,
muovono palesemente da atteggiamenti grottescamente dogmatici. Mai come quando attaccano
la tradizione cristiana, i laici si danno la zappa sui piedi, negando uno dei presupposti
della loro visione del mondo, e cioè il rispetto onesto nei confronti della realtà
delle cose.
D. – Quindi, professore, il Tar ha fatto
più un’operazione culturale che giuridica?
R. – Il
Tar ha fatto una mediocre operazione culturale e speriamo che il Consiglio di Stato
la sappia correggere.
Ma da quale atteggiamento muove
la dicisione sull’ora di religione? Ascoltiamo al microfono di Antonella Palermo,
il commento donFilippoMorlacchi, direttore per il Vicariato
di Roma, dell’Ufficio per la Pastorale Scolastica:
R. – Sicuramente,
un atteggiamento laicista o forse, più esattamente, anticlericale o avverso alla Chiesa
cattolica, perché poi in realtà, tra i promotori di questa iniziativa ci sono diverse
denominazioni cristiane non cattoliche e anche alcuni gruppi ebrei, il che significa
persone che hanno un’intenzione, comunque, di promuovere la fede, il rapporto con
Dio, la spiritualità. Unicamente, non vogliono che ci sia questo ruolo della Chiesa
cattolica in Italia, e quindi c’è un atteggiamento forse più che contro la spiritualità,
contro l’insegnamento della religione cattolica, considerato come una sorta di privilegio.
A mio giudizio, non c’è nessun privilegio: è semplicemente una forma molto precisa,
quello dell’insegnamento della religione cattolica in Italia, che si basa su alcuni
principi molto chiari: viene insegnata da un docente che ha un’appartenenza cattolica
esplicita e dichiarata ma non si richiede l’appartenenza confessionale degli studenti
che ascoltano queste lezioni, proprio perché ha questo taglio culturale che serve
ad inserire il ragazzo nella cultura italiana, dove certamente la Chiesa cattolica
e il cattolicesimo costituiscono un elemento decisivo del patrimonio culturale della
vita; potrebbe tranquillamente scegliere di ascoltare le lezioni di religione cattolica
anche un ebreo o un musulmano! E di fatto, questo accade, perché si tratta di una
formula particolare che da un lato lascia la grande libertà, il grande rispetto dell’interlocutore,
dall’altra offre la garanzia che l’insegnamento avvenga secondo certi criteri.
D.
– Cosa dovrebbero fare, secondo lei, gli insegnanti di religione cattolica a fronte
di questa decisione?
R. – Adesso bisognerà vedere
che cosa succede nei prossimi scrutini: in base alle innovazioni del ministro Gelmini,
gli alunni che non hanno recuperato il debito formativo hanno questi scrutini di recupero
che in alcune scuole sono stati fatti a fine luglio; in altre scuole si svolgeranno
tra fine agosto e i primi di settembre. Probabilmente, lì ci sarà già un primo campo
di battaglia: deve intervenire, non deve intervenire l’insegnante di religione … Io
penso che l’insegnante di religione si debba comportare secondo logica e dire: se
lo scrutinio di questi alunni si svolge con modalità diverse rispetto allo scrutinio
degli alunni che sono stati scrutinati a giugno, si introdurrebbe una nuova disparità,
una nuova ingiustizia. Quindi, per questi scrutini di settembre tutto dovrebbe continuare
a svolgersi come è stato nella sessione estiva.
D.
– Gli insegnanti di religione sono effettivamente considerati insegnanti di “serie
B”?
R. – Qualcuno lo fa, certamente. Non credo che
la maggioranza degli insegnanti di religione sia considerata di “serie B”, non tanto
perché la disciplina in quanto tale ottenga loro il rispetto, ma perché con la loro
capacità riescono a guadagnarsi la stima dei colleghi. Questo è il fatto, secondo
me: cioè, nella maggior parte dei consigli di classe il parere dell’insegnante di
religione è ascoltato con molto interesse. Mi sembra vero nella maggior parte dei
casi, anche se certamente non in tutti e ci possono essere delle situazioni di insegnanti
di religione non all’altezza del compito: questo non lo nego!, ma come succede in
qualsiasi altra disciplina. Quello che è vero è che a partire dalla legge del 2003,
gli insegnanti di religione sono stati anche immessi in ruolo. Quello che ha significato
il ruolo per l’insegnante, cioè una loro legittimazione, lo sarebbe per la disciplina
se ci fosse una valutazione seria. Cioè: come per l’insegnante di religione è stata
una legittimazione agli occhi dei colleghi entrare in ruolo, per la disciplina “Insegnamento
della religione cattolica” sarebbe una sorta di legittimazione pubblica se la valutazione
di questa disciplina avvenisse esattamente alla pari con le altre discipline.(Montaggio a cura di Maria Brigini)