2009-08-13 14:19:30

Dibattito sulla sentenza del Tar contro l'ora di religione


Continuano le polemiche in Italia dopo il pronunciamento del Tribunale amministrativo regionale del Lazio, che ha escluso la partecipazione agli scrutini degli insegnanti di religione cattolica, ritenendo illegittimi i conseguenti crediti formativi. Il Ministro dell’Istruzione Gelmini, che ha annunciato ricorso presso il Consiglio di Stato, ha ribadito l’intenzione di voler “accrescere e valorizzare il ruolo degli insegnanti di religione” coinvolgendoli maggiormente sin dal prossimo anno in attività di formazione. Una sentenza, quella del Tar, secondo l’Osservatore Romano, che discrimina di fatto sei milioni di studenti e tutti quei docenti che, dopo un concorso, si trovano ora ad essere considerati professori di “serie B”. Federico Piana ha intervistato Francesco D’Agostino, presidente dell’Unione Giuristi Cattolici Italiani:RealAudioMP3

R. – La tradizione religiosa italiana fa parte, in maniera costitutiva, delle tradizioni storico-culturali del nostro popolo. Cosa ha fatto fondamentalmente il Tar? Ha dequalificato i docenti di religione, riducendoli in qualche modo a docenti di 'serie B', e qualificando lo stesso insegnamento della religione, come un insegnamento privo di dignità didattica. Tant’è vero che i risultati, positivi o negativi, che un ragazzo potrebbe acquisire in questa disciplina, in base al Tar, dovrebbero essere completamente ignorati dal collegio dei docenti. Questo credo sia una vera e propria assurdità culturale, prima che giuridica.

 
D. – Il ministro dell’Istruzione Gelmini ha parlato di discriminazione...

 
R. – Poiché l’insegnamento della religione nasce, come sappiamo tutti, dal Concordato tra Stato e Chiesa, e poiché quello che ha fatto il Tar è comunque una lacerazione del Concordato, i cattolici giustamente potrebbero dire che questa sentenza del Tar si traduce di fatto in un atto di discriminazione nei loro confronti. E’ tutta la cultura italiana, però, che dovrebbe percepire questa sentenza del Tar come qualcosa che la ferisce, perché, ripeto, l’insegnamento della religione a scuola non ha nulla propriamente di confessionale, finalizzato al proselitismo, serve a far capire che non si può tagliar via la tradizione religiosa dalla storia e dalla cultura di un popolo. Ho tanta paura che, adottando prospettive inspiegabilmente laiciste, i magistrati del Tar non abbiano capito proprio questo: che se un giovane italiano cresce ed entra nell’età adulta, ignorando il fatto religioso cristiano, la sua identità culturale è terribilmente povera e lui sarà sempre un cittadino in qualche modo carente di una dimensione essenziale della sua formazione.

 
D. –Il Consiglio di Stato a questo punto cosa farà?

 
R. – Io mi auguro che il Consiglio di Stato faccia marcia indietro e annulli la sentenza del Tar. Certi attacchi laicisti alla tradizione cristiana sono palesemente pregiudiziali, muovono palesemente da atteggiamenti grottescamente dogmatici. Mai come quando attaccano la tradizione cristiana, i laici si danno la zappa sui piedi, negando uno dei presupposti della loro visione del mondo, e cioè il rispetto onesto nei confronti della realtà delle cose.

 
D. – Quindi, professore, il Tar ha fatto più un’operazione culturale che giuridica?

 
R. – Il Tar ha fatto una mediocre operazione culturale e speriamo che il Consiglio di Stato la sappia correggere.

 
Ma da quale atteggiamento muove la dicisione sull’ora di religione? Ascoltiamo al microfono di Antonella Palermo, il commento don Filippo Morlacchi, direttore per il Vicariato di Roma, dell’Ufficio per la Pastorale Scolastica:RealAudioMP3

R. – Sicuramente, un atteggiamento laicista o forse, più esattamente, anticlericale o avverso alla Chiesa cattolica, perché poi in realtà, tra i promotori di questa iniziativa ci sono diverse denominazioni cristiane non cattoliche e anche alcuni gruppi ebrei, il che significa persone che hanno un’intenzione, comunque, di promuovere la fede, il rapporto con Dio, la spiritualità. Unicamente, non vogliono che ci sia questo ruolo della Chiesa cattolica in Italia, e quindi c’è un atteggiamento forse più che contro la spiritualità, contro l’insegnamento della religione cattolica, considerato come una sorta di privilegio. A mio giudizio, non c’è nessun privilegio: è semplicemente una forma molto precisa, quello dell’insegnamento della religione cattolica in Italia, che si basa su alcuni principi molto chiari: viene insegnata da un docente che ha un’appartenenza cattolica esplicita e dichiarata ma non si richiede l’appartenenza confessionale degli studenti che ascoltano queste lezioni, proprio perché ha questo taglio culturale che serve ad inserire il ragazzo nella cultura italiana, dove certamente la Chiesa cattolica e il cattolicesimo costituiscono un elemento decisivo del patrimonio culturale della vita; potrebbe tranquillamente scegliere di ascoltare le lezioni di religione cattolica anche un ebreo o un musulmano! E di fatto, questo accade, perché si tratta di una formula particolare che da un lato lascia la grande libertà, il grande rispetto dell’interlocutore, dall’altra offre la garanzia che l’insegnamento avvenga secondo certi criteri.

 
D. – Cosa dovrebbero fare, secondo lei, gli insegnanti di religione cattolica a fronte di questa decisione?

 
R. – Adesso bisognerà vedere che cosa succede nei prossimi scrutini: in base alle innovazioni del ministro Gelmini, gli alunni che non hanno recuperato il debito formativo hanno questi scrutini di recupero che in alcune scuole sono stati fatti a fine luglio; in altre scuole si svolgeranno tra fine agosto e i primi di settembre. Probabilmente, lì ci sarà già un primo campo di battaglia: deve intervenire, non deve intervenire l’insegnante di religione … Io penso che l’insegnante di religione si debba comportare secondo logica e dire: se lo scrutinio di questi alunni si svolge con modalità diverse rispetto allo scrutinio degli alunni che sono stati scrutinati a giugno, si introdurrebbe una nuova disparità, una nuova ingiustizia. Quindi, per questi scrutini di settembre tutto dovrebbe continuare a svolgersi come è stato nella sessione estiva.

 
D. – Gli insegnanti di religione sono effettivamente considerati insegnanti di “serie B”?

 
R. – Qualcuno lo fa, certamente. Non credo che la maggioranza degli insegnanti di religione sia considerata di “serie B”, non tanto perché la disciplina in quanto tale ottenga loro il rispetto, ma perché con la loro capacità riescono a guadagnarsi la stima dei colleghi. Questo è il fatto, secondo me: cioè, nella maggior parte dei consigli di classe il parere dell’insegnante di religione è ascoltato con molto interesse. Mi sembra vero nella maggior parte dei casi, anche se certamente non in tutti e ci possono essere delle situazioni di insegnanti di religione non all’altezza del compito: questo non lo nego!, ma come succede in qualsiasi altra disciplina. Quello che è vero è che a partire dalla legge del 2003, gli insegnanti di religione sono stati anche immessi in ruolo. Quello che ha significato il ruolo per l’insegnante, cioè una loro legittimazione, lo sarebbe per la disciplina se ci fosse una valutazione seria. Cioè: come per l’insegnante di religione è stata una legittimazione agli occhi dei colleghi entrare in ruolo, per la disciplina “Insegnamento della religione cattolica” sarebbe una sorta di legittimazione pubblica se la valutazione di questa disciplina avvenisse esattamente alla pari con le altre discipline. (Montaggio a cura di Maria Brigini)







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