Ora di religione. Mons. Coletti commenta la sentenza del Tar. Ministero e insegnanti
faranno ricorso
Una sentenza che "discrimina di fatto sei milioni di studenti, che hanno scelto l'insegnamento
della religione come materia scolastica, e tutti quei docenti che, dopo un concorso,
si trovano ora a essere considerati professori di serie b". Così l’Osservatore romano
interviene sulle polemiche scoppiate in Italia a seguito del pronunciamento del Tar
del Lazio che ha escluso la partecipazione agli scrutini degli insegnanti di religione
cattolica, ritenendo illegittimi i conseguenti crediti scolastici. Il servizio di
Alessandra De Gaetano:
Le polemiche
innescate dalla sentenza del Tar non si spengono, coinvolgendo anche il mondo della
politica. Tra favorevoli e contrari, è il ministro italiano dell'Istruzione, Mariastella
Gelmini, a prendere la parola, annunciando un ricorso al Consiglio di Stato e ammonendo
che non si deve ''discriminare la religione cattolica''. Per il quotidiano dei vescovi
italiani, Avvenire, ci si trova di fronte ad un “evidente tentativo, già per altro
portato avanti anche nel recente passato, di emarginare l'insegnamento della religione
cattolica nelle scuole pubbliche italiane”. L’Osservatore Romano, con mons. Michele
Pennisi, afferma che, quella del Tar a proposito dell’ora di religione, "è una sentenza
laicistica che fa compiere all'Italia un grave passo indietro nei confronti di quei
Paesi europei dove l'insegnamento della religione è parte integrante” del percorso
formativo. Ce ne parla mons. Diego Coletti, presidente della Commissione episcopale
per l'educazione cattolica, al microfono di Luca Collodi:
R. – Mi sembra
che, tra quello che si è potuto leggere nell’immediato, nelle motivazioni della sentenza,
si vada in due direzioni: entrambe, mi sembra, molto discutibili, come motivi per
questa sentenza. La prima motivazione sarebbe quella di dire che gli alunni devono
essere tutti uguali e, quindi, siccome alcuni non si avvalgono dell’insegnamento scolastico
della religione cattolica, questi sarebbero discriminati se questo insegnamento contribuisse
a stabilire i crediti o, comunque, il giudizio sull’alunno. La seconda motivazione
è ancora più interessante: le cose che riguardano una scelta religiosa individuale
non devono entrare nella costruzione di una valutazione generale scolastica, in uno
Stato laico. Allora, io prenderei in esame, se posso, brevemente, entrambe queste
motivazioni. La prima è chiaramente pretestuosa, perché i crediti e il valore generale
del giudizio sull’alunno vengono dati in base alle sue scelte. Il ministro Fioroni
ha addirittura citato che c’è la possibilità di avere dei crediti per dei corsi di
danza caraibica. Figurarsi che se il 92 per cento delle famiglie italiane scelgono
l’insegnamento della religione cattolica, questo non debba entrare nel computo della
valutazione dell’alunno. Sarebbe davvero una cosa strana. Tanto più che si tratta
di scelte responsabili che devono in qualche modo contribuire a dare una figura generale
di valutazione dell’alunno. L’altra motivazione, come dicevo, è ancora più strana,
perché non si tratta di un insegnamento che va a sostenere delle scelte religiose
individuali, ma si tratta di un insegnamento da tutti riconosciuto come una componente
importante di conoscenza della cultura di questo Paese, con buona pace degli irriducibili
laicisti e, purtroppo, dobbiamo dire, con buona pace anche di tanti nostri fratelli
nella fede di altre confessioni cristiane. Non è colpa di nessuno se la cultura di
questo Paese è stata segnata da secoli, e in misura massiccia, dalla presenza della
religione cattolica. Per cui entrare in un dialogo fecondo, da qualunque punto di
vista e a partire da qualunque religione o cultura, con la cultura italiana, vuol
dire conoscere dal punto di vista culturale, non dal punto di vista catechistico strettamente
confessionale, la religione cattolica. E questo è il motivo dell’insegnamento per
cui eventualmente ciò che è un problema e che va spiegato è l’esenzione, cioè la possibilità
di non avvalersi, che credo sia giusto rispetto per chi dovesse sentire un qualche
turbamento alle proprie convinzioni religiose, dovendo approfondire il punto di vista
della religione cattolica. Ma il corso fatto a scuola, di una scuola laica, di uno
Stato laico, è un corso culturale, non è un corso che costruisce scelte religiose. D.
– Mons. Coletti, questa decisione del Tar del Lazio, secondo lei, danneggia proprio
la laicità dello Stato italiano? R. – Secondo me sì, perché
per laicità si intende la giusta neutralità di una comunità civile, che, però, dovrebbe
essere preoccupata di valorizzare tutte le identità, ciascuna a seconda del proprio
peso e della propria rilevanza culturale, per esempio sul territorio. Perché se per
laicità si intende l’esclusione dall’orizzonte culturale, formativo, civile di ogni
identità, vuol dire che si è proprio nel più bieco e negativo risvolto dell’Illuminismo;
prevede che la pace sociale sia garantita dalla cancellazione delle diversità delle
identità. Mentre io credo che uno Stato sanamente laico debba preoccuparsi di far
emergere e di rispettare, di mettere in rete casomai e di far crescere tutte le identità,
soprattutto quelle di alto profilo etico e culturale. D. – Qualcuno
dice che si tratta anche di una scelta ideologica che punta ad estromettere la religione
dalla vita delle persone... R. – Io non conosco i giudici del
Tar del Lazio, anche se questo Tribunale amministrativo ha una sua lunga storia, che
credo molti conoscano. Casomai ci sarà da chiedersi come mai su una questione così
delicata, la competenza venga data ad un Tribunale amministrativo regionale; ma io
credo che ci sia dietro a queste pretestuose motivazioni qualche atteggiamento pregiudiziale,
anche se non del tutto ideologico. C’è un pregiudizio di “doverosa liberazione” dei
“poveri” bambini, ragazzi e giovani italiani dal peso schiacciante della religione
cattolica. Questo mi sembra piuttosto un equivoco pesante, grave, sul quale varrebbe
la pena di aprire un dibattito culturale, di sentire motivazioni pro e contro, senza,
a partire da questo pregiudizio, arrivare addirittura a dare delle sentenze che, alla
fine, rischiano di incrementare ancora di più quella sorta di diffidenza, di sospetto,
in genere, sulla magistratura, che è già fin troppo alto in Italia e che va invece,
in tutti i modi, contrastato e ridotto. D. – Fra l’altro, qui
c’è il rischio anche di discriminare quel 90 per cento di studenti che scelgono l’ora
di religione in Italia e che rischiano di non essere più valutati... R.
– Sì, questo è vero. E’ come se si dicesse che una parte del proprio curriculum studentesco,
per motivi appunto ideologici e pregiudiziali, venga azzerata. Questa è una sentenza
particolarmente pesante per uno Stato che deve rispettare le scelte educative delle
famiglie, che sono soprattutto dei genitori, che sono fino alla maggiore età i diretti
responsabili dell’educazione dei figli e anche, in qualche misura, soprattutto andando
avanti nell’età, le scelte stesse degli studenti che, tranne che in alcune regioni,
nella stragrande maggioranza delle regioni del Paese, in larghissima maggioranza,
scelgono ancora di avvalersi. Vorrei far notare che la cosa è talmente vera che in
molte classi a noi risulta che figli di famiglie addirittura non cristiane o di altre
confessioni religiose volentieri si avvalgano dell’insegnamento della religione cattolica
appunto come elemento arricchente, culturale, per la conoscenza della cultura italiana. D.
– Mons. Coletti, che cosa succederà ora? Lei personalmente pensa ad un ricorso? R.
– Non credo che tocchi alla Chiesa come tale fare un ricorso. Tocca a cittadini italiani,
più o meno organizzati in partiti o in associazioni culturali, esprimere il loro parere,
il loro dissenso, di fronte ad una sentenza così povera di motivazioni. Credo che
lo stesso Ministero dovrà fare un ricorso, perché ciò che è stato messo sotto accusa
non è un’opinione della Chiesa o dei vescovi, ma è una circolare del Ministero e qualcosa
che attiene all’organizzazione della scuola di Stato. Quindi, io credo che siano questi
i soggetti che devono muoversi.
Il ministro dell’istruzione Gelmini
ha annunciato che ricorrerà al Consiglio di Stato contro la sentenza del Tar; sulla
stessa linea Orazio Ruscica segretario nazionale dello Snadir, il Sindacato
Autonomo degli Insegnanti di Religione, che ribadisce che la quarta sezione del Tribunale
amministrativo del Lazio ha già provato a marginalizzare, in passato l’insegnamento
della religione. Massimiliano Menichetti lo ha intervistato: R.
– Noi ci costituiremo in giudizio e impugneremo la decisione della sezione quattro
del Tar del Lazio, come già abbiamo fatto nel 2007: anche allora abbiamo fatto ricorso
sempre presso questa sezione, che è ostinata; il Consiglio di Stato ha definito “priva
di consistenza” e ha bocciato la decisione della sezione quattro. Ed è la stessa cosa
adesso. La sentenza della sezione quattro non fa altro che dire che chi lavora deve
essere penalizzato: cioè, gli studenti che durante l’anno fanno una materia in più
rispetto agli altri devono vedere poi alla fine dell’anno penalizzato il loro lavoro. D.
– Ecco: ricordiamo la questione dei crediti formativi che vengono dati a chi frequenta
l’ora di religione: in realtà gli stessi crediti vengono assegnati a chi frequenta
l’ora sostitutiva a quella di religione … R. – Sì! Non solo:
ma anche la certificazione di uno studio individuale assistito da parte degli insegnanti.
Insomma, nel credito viene valutato sia la religione sia la materia alternativa sia
lo studio individuale assistito e certificato dall’insegnante. D.
– Quindi non si lede il diritto di libertà e non si lede il principio di laicità? R.
– No, assolutamente. Qui c’è un’altra confusione. Lo Stato, l’amministrazione, riconosce
un impegno da parte dello studente e dice: tu hai fatto qualcosa durante l’anno? Ti
sei impegnato? Bene, io te lo riconosco.