2009-08-12 18:01:43

Ora di religione. Mons. Coletti commenta la sentenza del Tar. Ministero e insegnanti faranno ricorso


Una sentenza che "discrimina di fatto sei milioni di studenti, che hanno scelto l'insegnamento della religione come materia scolastica, e tutti quei docenti che, dopo un concorso, si trovano ora a essere considerati professori di serie b". Così l’Osservatore romano interviene sulle polemiche scoppiate in Italia a seguito del pronunciamento del Tar del Lazio che ha escluso la partecipazione agli scrutini degli insegnanti di religione cattolica, ritenendo illegittimi i conseguenti crediti scolastici. Il servizio di Alessandra De Gaetano: RealAudioMP3

Le polemiche innescate dalla sentenza del Tar non si spengono, coinvolgendo anche il mondo della politica. Tra favorevoli e contrari, è il ministro italiano dell'Istruzione, Mariastella Gelmini, a prendere la parola, annunciando un ricorso al Consiglio di Stato e ammonendo che non si deve ''discriminare la religione cattolica''. Per il quotidiano dei vescovi italiani, Avvenire, ci si trova di fronte ad un “evidente tentativo, già per altro portato avanti anche nel recente passato, di emarginare l'insegnamento della religione cattolica nelle scuole pubbliche italiane”. L’Osservatore Romano, con mons. Michele Pennisi, afferma che, quella del Tar a proposito dell’ora di religione, "è una sentenza laicistica che fa compiere all'Italia un grave passo indietro nei confronti di quei Paesi europei dove l'insegnamento della religione è parte integrante” del percorso formativo. Ce ne parla mons. Diego Coletti, presidente della Commissione episcopale per l'educazione cattolica, al microfono di Luca Collodi:

R. – Mi sembra che, tra quello che si è potuto leggere nell’immediato, nelle motivazioni della sentenza, si vada in due direzioni: entrambe, mi sembra, molto discutibili, come motivi per questa sentenza. La prima motivazione sarebbe quella di dire che gli alunni devono essere tutti uguali e, quindi, siccome alcuni non si avvalgono dell’insegnamento scolastico della religione cattolica, questi sarebbero discriminati se questo insegnamento contribuisse a stabilire i crediti o, comunque, il giudizio sull’alunno. La seconda motivazione è ancora più interessante: le cose che riguardano una scelta religiosa individuale non devono entrare nella costruzione di una valutazione generale scolastica, in uno Stato laico. Allora, io prenderei in esame, se posso, brevemente, entrambe queste motivazioni. La prima è chiaramente pretestuosa, perché i crediti e il valore generale del giudizio sull’alunno vengono dati in base alle sue scelte. Il ministro Fioroni ha addirittura citato che c’è la possibilità di avere dei crediti per dei corsi di danza caraibica. Figurarsi che se il 92 per cento delle famiglie italiane scelgono l’insegnamento della religione cattolica, questo non debba entrare nel computo della valutazione dell’alunno. Sarebbe davvero una cosa strana. Tanto più che si tratta di scelte responsabili che devono in qualche modo contribuire a dare una figura generale di valutazione dell’alunno. L’altra motivazione, come dicevo, è ancora più strana, perché non si tratta di un insegnamento che va a sostenere delle scelte religiose individuali, ma si tratta di un insegnamento da tutti riconosciuto come una componente importante di conoscenza della cultura di questo Paese, con buona pace degli irriducibili laicisti e, purtroppo, dobbiamo dire, con buona pace anche di tanti nostri fratelli nella fede di altre confessioni cristiane. Non è colpa di nessuno se la cultura di questo Paese è stata segnata da secoli, e in misura massiccia, dalla presenza della religione cattolica. Per cui entrare in un dialogo fecondo, da qualunque punto di vista e a partire da qualunque religione o cultura, con la cultura italiana, vuol dire conoscere dal punto di vista culturale, non dal punto di vista catechistico strettamente confessionale, la religione cattolica. E questo è il motivo dell’insegnamento per cui eventualmente ciò che è un problema e che va spiegato è l’esenzione, cioè la possibilità di non avvalersi, che credo sia giusto rispetto per chi dovesse sentire un qualche turbamento alle proprie convinzioni religiose, dovendo approfondire il punto di vista della religione cattolica. Ma il corso fatto a scuola, di una scuola laica, di uno Stato laico, è un corso culturale, non è un corso che costruisce scelte religiose.
 
D. – Mons. Coletti, questa decisione del Tar del Lazio, secondo lei, danneggia proprio la laicità dello Stato italiano?
 
R. – Secondo me sì, perché per laicità si intende la giusta neutralità di una comunità civile, che, però, dovrebbe essere preoccupata di valorizzare tutte le identità, ciascuna a seconda del proprio peso e della propria rilevanza culturale, per esempio sul territorio. Perché se per laicità si intende l’esclusione dall’orizzonte culturale, formativo, civile di ogni identità, vuol dire che si è proprio nel più bieco e negativo risvolto dell’Illuminismo; prevede che la pace sociale sia garantita dalla cancellazione delle diversità delle identità. Mentre io credo che uno Stato sanamente laico debba preoccuparsi di far emergere e di rispettare, di mettere in rete casomai e di far crescere tutte le identità, soprattutto quelle di alto profilo etico e culturale.
 
D. – Qualcuno dice che si tratta anche di una scelta ideologica che punta ad estromettere la religione dalla vita delle persone...
 
R. – Io non conosco i giudici del Tar del Lazio, anche se questo Tribunale amministrativo ha una sua lunga storia, che credo molti conoscano. Casomai ci sarà da chiedersi come mai su una questione così delicata, la competenza venga data ad un Tribunale amministrativo regionale; ma io credo che ci sia dietro a queste pretestuose motivazioni qualche atteggiamento pregiudiziale, anche se non del tutto ideologico. C’è un pregiudizio di “doverosa liberazione” dei “poveri” bambini, ragazzi e giovani italiani dal peso schiacciante della religione cattolica. Questo mi sembra piuttosto un equivoco pesante, grave, sul quale varrebbe la pena di aprire un dibattito culturale, di sentire motivazioni pro e contro, senza, a partire da questo pregiudizio, arrivare addirittura a dare delle sentenze che, alla fine, rischiano di incrementare ancora di più quella sorta di diffidenza, di sospetto, in genere, sulla magistratura, che è già fin troppo alto in Italia e che va invece, in tutti i modi, contrastato e ridotto.
 
D. – Fra l’altro, qui c’è il rischio anche di discriminare quel 90 per cento di studenti che scelgono l’ora di religione in Italia e che rischiano di non essere più valutati...
 
R. – Sì, questo è vero. E’ come se si dicesse che una parte del proprio curriculum studentesco, per motivi appunto ideologici e pregiudiziali, venga azzerata. Questa è una sentenza particolarmente pesante per uno Stato che deve rispettare le scelte educative delle famiglie, che sono soprattutto dei genitori, che sono fino alla maggiore età i diretti responsabili dell’educazione dei figli e anche, in qualche misura, soprattutto andando avanti nell’età, le scelte stesse degli studenti che, tranne che in alcune regioni, nella stragrande maggioranza delle regioni del Paese, in larghissima maggioranza, scelgono ancora di avvalersi. Vorrei far notare che la cosa è talmente vera che in molte classi a noi risulta che figli di famiglie addirittura non cristiane o di altre confessioni religiose volentieri si avvalgano dell’insegnamento della religione cattolica appunto come elemento arricchente, culturale, per la conoscenza della cultura italiana.
 
D. – Mons. Coletti, che cosa succederà ora? Lei personalmente pensa ad un ricorso?
 
R. – Non credo che tocchi alla Chiesa come tale fare un ricorso. Tocca a cittadini italiani, più o meno organizzati in partiti o in associazioni culturali, esprimere il loro parere, il loro dissenso, di fronte ad una sentenza così povera di motivazioni. Credo che lo stesso Ministero dovrà fare un ricorso, perché ciò che è stato messo sotto accusa non è un’opinione della Chiesa o dei vescovi, ma è una circolare del Ministero e qualcosa che attiene all’organizzazione della scuola di Stato. Quindi, io credo che siano questi i soggetti che devono muoversi. 


Il ministro dell’istruzione Gelmini ha annunciato che ricorrerà al Consiglio di Stato contro la sentenza del Tar; sulla stessa linea Orazio Ruscica segretario nazionale dello Snadir, il Sindacato Autonomo degli Insegnanti di Religione, che ribadisce che la quarta sezione del Tribunale amministrativo del Lazio ha già provato a marginalizzare, in passato l’insegnamento della religione. Massimiliano Menichetti lo ha intervistato:RealAudioMP3
 
R. – Noi ci costituiremo in giudizio e impugneremo la decisione della sezione quattro del Tar del Lazio, come già abbiamo fatto nel 2007: anche allora abbiamo fatto ricorso sempre presso questa sezione, che è ostinata; il Consiglio di Stato ha definito “priva di consistenza” e ha bocciato la decisione della sezione quattro. Ed è la stessa cosa adesso. La sentenza della sezione quattro non fa altro che dire che chi lavora deve essere penalizzato: cioè, gli studenti che durante l’anno fanno una materia in più rispetto agli altri devono vedere poi alla fine dell’anno penalizzato il loro lavoro.
 
D. – Ecco: ricordiamo la questione dei crediti formativi che vengono dati a chi frequenta l’ora di religione: in realtà gli stessi crediti vengono assegnati a chi frequenta l’ora sostitutiva a quella di religione …
 
R. – Sì! Non solo: ma anche la certificazione di uno studio individuale assistito da parte degli insegnanti. Insomma, nel credito viene valutato sia la religione sia la materia alternativa sia lo studio individuale assistito e certificato dall’insegnante.
 
D. – Quindi non si lede il diritto di libertà e non si lede il principio di laicità?
 
R. – No, assolutamente. Qui c’è un’altra confusione. Lo Stato, l’amministrazione, riconosce un impegno da parte dello studente e dice: tu hai fatto qualcosa durante l’anno? Ti sei impegnato? Bene, io te lo riconosco.







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