Condanna di Aung San Suu Kyi. La Cina difende la giunta del Myanmar
Durissime reazioni internazionali nei confronti della giunta militare birmana per
l’ennesima condanna inflitta alla premio Nobel per la pace, Aung San Suu Kyi. L’indignazione
internazionale per la nuova condanna è diffusa: il presidente degli Stati Uniti Barack
Obama si unisce alle richieste dell'Unione Europea e dell'Onu per la liberazione "immediata"
e "senza condizioni" della leader dell'opposizione e degli altri detenuti politici.
La Cina difende, invece, la giunta birmana chiedendo di rispettare la sovranità del
Myanmar. Stefano Leszczynski ha intervistato Carlo Corazza, direttore
dell’Ufficio dell’Unione europea per le relazioni internazionali:
R. – L’Unione
Europea è fondata sulla ricostruzione dei diritti fondamentali, quindi è abbastanza
normale che di fronte a palesi violazioni di vari principi, tra cui la tutela di un
leader, quindi di un problema di democrazia, reagisca in modo duro e fermo. Il problema
poi sono le conseguenze da un punto di vista commerciale nei confronti della Birmania,
dove invece qualche crepa c’è.
D. – Conseguenze commerciali,
che, diciamo, rappresentano un’arma in più nelle mani dell’Unione Europea, per contrastare
le violazioni dei diritti umani a livello internazionale…
R.
– Beh, la nostra arma principale – stiamo parlando ovviamente di “soft” policy – è
il commercio. Noi siamo la prima potenza commerciale al mondo. Il nostro mercato è
il più grande per fatturato, per export e per import. Quindi, da questo punto di vista
siamo abbastanza temuti, quando facciamo sul serio.
D.
– Colpire gli interessi della Birmania. Ma quali sono questi interessi specifici per
quanto riguarda l’Europa?
R. – Diciamo che ci sono
alcune grosse società, soprattutto nel settore degli idrocarburi, materie prime, che
rappresentano grossi investitori in Birmania. Alcune sanzioni, come si sa, sono già
state prese. Il regime di embargo nei confronti della Birmania è abbastanza duro,
però penso che si possa fare ancora di più, se si vuole fare sul serio.
D.
– C’è una possibilità di dialogo o non c’è nessuna apertura da parte del regime birmano…
R.
– Non è facile, c’è una grossa ambiguità dal punto di vista del regime birmano. Anche
il poco dialogo che c’è stato, poi, non ha avuto un seguito soddisfacente dal punto
di vista europeo. Bisogna anche tener conto che la Birmania è meno isolata di quanto
sembri, nel senso che trova delle sponde in alcuni suoi vicini, che le conservano
più margini di manovra di quanto non ne avrebbe, se non avesse queste sponde. Questo
in qualche modo riduce anche la forza dell’Unione Europea.
D.
– Che deve comunque confrontarsi anche con Paesi alleati della Birmania…
R.
– Sì, alleati, almeno nei fatti e negli interessi concreti. Insomma, non è un mistero
che la Cina non sia tra i più vigorosi a fare pressione sulla Birmania su certi aspetti
appunto legati al rispetto dei diritti fondamentali.
Indonesia La
polizia indonesiana ha reso noto oggi che l'uomo ucciso lo scorso 8 agosto nel corso
di raid a Giava non è il super ricercato capo-terrorista malaysiano Noordin Top. Il
test del Dna ha dimostrato che i resti sono di Ibrohim, un fiorista dell'hotel Marriott
di Giacarta complice dell’attacco kamikaze contro l'albergo del 17 luglio scorso,
che costò la vita a nove persone. Noordin Top, 41 anni, secondo l'antiterrorismo
indonesiano, sarebbe attualmente a capo di una cellula dissidente della Jemaah Islamiya
e in passato avrebbe firmato la strage di Bali del 2002 e quella all'hotel Marriott
di Giakarta del 2003.
Caucaso Non c’è pace per le instabili repubbliche
del Caucaso russo. Il ministro dell'Edilizia dell'Inguscezia è stato ucciso stamani
a colpi di arma da fuoco nel suo ufficio nella città di Maghas. L’omicidio arriva
a meno di 24 ore dal ritrovamento, in Cecenia, dei corpi senza vita di Zarema Sadulaieva,
responsabile della ong 'Salviamo la generazione', e di suo marito. Il servizio di
Marco Guerra:
Torna altissima
la tensione nelle Repubbliche caucasiche della federazione russa. Nelle ultime 48
ore una catena di omicidi ha scosso l’Inguscezia, il Daghestan e la Cecenia.
A meno di un mese dal rapimento e dall'uccisione della giornalista russa Natalia
Estemìrova sono stati ritrovati ieri alla periferia di Grozny, in Cecenia, i corpi
di una coppia di attivisti responsabili della ong “Salviamo la generazione”, che
si occupa del recupero dei giovani coinvolti nella guerriglia filo islamica. Nelle
stesse ore, in Daghestan, veniva assassinato un altro reporter. E ancora, in serata,
due agenti della polizia cecena venivano uccisi in due distinti agguati. Il presidente
russo Medvedev ha chiesto di far luce al più presto sull'accaduto, mentre Amnesty
International ha invocato la fine di quella che ha definito la "caccia ai militanti
per i diritti umani''. In Inguscezia invece sono le autorità politiche ad essere al
centro degli attacchi attribuiti ai ribelli islamici. L’omicidio di stamani del ministro
dell’Edilizia arriva dopo quello della vicepresidente della Corte suprema, colpita
il 10 giugno scorso. Il 22 dello stesso mese il presidente Evkurov era rimasto gravemente
ferito in un attentato kamikaze durante il passaggio del suo corteo. Il capo di Stato
ha lasciato l'ospedale l'altro ieri con l'intenzione di riprendere quanto prima la
lotta al terrorismo con l’aiuto di Mosca.
Afghanistan In
Afghanistan è scattata stamani una nuova offensiva delle forze statunitensi nella
provincia di Helmand. L'operazione “Eastern Resolve” vede impegnati 400 marine per
rendere più sicure le zone controllate dai talebani, prima delle elezioni. Intanto
non si fermano gli attacchi dei ribelli integralisti: il capo della polizia della
provincia settentrionale di Kunduz e tre agenti sono stati uccisi in un agguato dei
ribelli.
Iraq Almeno otto persone sono state uccise e trenta sono
rimaste ferite a Baghdad in seguito all'esplosione di due autobomba ieri sera in un
quartiere a maggioranza sciita nella zona orientale della città.
Iran Il
regime iraniano è ancora sotto pressione per le ripercussioni internazionali della
grave crisi politica interna. Tre infatti i detenuti statunitensi nelle prigioni di
Teheran e una francese, la ricercatrice universitaria Clotilde Reiss. Intanto, non
si placa lo sdegno per le presunte torture e le violenze commesse contro i membri
dell’opposizione iraniana, arrestati dopo i moti di giugno. Oggi il candidato conservatore
alle elezioni di giugno, Mohsen Rezaie, ha chiesto che siano celebrati processi ai
responsabili nel caso siano confermate le accuse di abusi. Tuttavia poche ore prima
il presidente del parlamento Ali Larijani ha definito le accuse “una menzogna”, precisando
che a seguito di un’inchiesta “non è emerso alcun caso di violenza sessuale".
Congresso
del Fatah Dopo una settimana di rinvii e discussioni interne, si è concluso
a Betlemme il vertice per l’elezione della nuova dirigenza di al Fatah. Accanto al
presidente Abu Mazen, tra i vertici del partito palestinese che fu di Yasser Arafat,
figurano Mohammed Dahlan, già capo del servizio di sicurezza preventiva a Gaza e netto
oppositore di Hamas, Jibril Rajub, con alle spalle 17 anni di carcere in Israele,
Saeb Erekat, diplomatico e negoziatore, e Marwan Barghuti, che ha vissuto la prima
e la seconda intifada e che sconta nelle carceri israeliane una condanna a 5 ergastoli
per complicità in attentati costati la vita a cittadini dello Stato ebraico. Sulla
nuova dirigenza di al Fatah, Giada Aquilino ha intervistato Eric Salerno,
inviato in Medio Oriente del quotidiano Il Messaggero:
R. – E’ molto
importante il fatto che sia stato confermato Mahmud Abbas come leader del movimento,
però la cosa che si è notata è che sono arrivati ai vertici molti giovani e sono quella
generazione che ha fatto la prima intifada e anche la seconda intifada, gente cresciuta
all’interno della Palestina.
D. - Parliamo di Marwan
Barghuti. Israele, che lo detiene per una condanna a più ergastoli, appare spaccato
sul suo futuro?
R. - Non è improbabile - almeno questo
è quello che pensiamo tutti - che quando più in là Israele e i palestinesi arriveranno
a un punto del negoziato di pace Barghuti potrebbe venire rilasciato. Barghuti è entrato
nelle maglie della lotta armata, di quello che sta diventando il terrorismo, anche
se non gli è stato attribuito direttamente alcun reato, nel senso che dicono che ha
dato disposizioni per uccidere delle persone per delle azioni terroristiche. Barghuti
parla bene l’ebraico, vorrebbe una soluzione, ovviamente la soluzione che vorrebbe
lui non è sempre la stessa soluzione che vorrebbe Israele, che in questo momento ha
un governo che continua a costruire insediamenti e a chiudere su molti dei punti cardini
di un’eventuale trattativa di pace.
D. - Quale sarà
la posizione di Israele nei confronti di questa nuova dirigenza di al Fatah?
R.
- Per adesso continuano a dire che non cambia niente, che devono rinunciare a una
serie di pretese. Io credo che bisognerà aspettare ancora i prossimi mesi e forse
bisognerà aspettare il piano che gli americani dicono di voler formulare forse a settembre,
forse a ottobre, su un futuro assetto del Medio Oriente.
Somalia In
Somalia sono stati rilasciati i 4 volontari europei sequestrati 9 mesi fa da una ventina
di uomini armati. Tuttavia sul terreno non si ferma la violenza: sei pakistani sono
stati uccisi nei pressi di una moschea da uomini armati non identificati nella regione
semiautonoma del Puntland. Le vittime – riferiscono gli abitanti del posto – erano
predicatori islamici.
Honduras Migliaia di manifestanti, provenienti
da diverse regioni dell’Honduras, si sono ritrovati ieri a Tegucigalpa alla fine di
una marcia di 105 chilometri, durata sette giorni, per chiedere il reintegro del presidente
Manuel Zelaya, deposto 45 giorni fa da un colpo di Stato militare. La polizia ha effettuato
decine di arresti e il governo de facto guidato da Roberto Micheletti ha ripristinato
il coprifuoco notturno. Il segretario generale dell'Organizzazione degli Stati americani
(Osa) José Miguel Insulza ha confermato, intanto, che la prossima settimana accompagnerà
sei ministri degli Esteri dei Paesi latinoamericani in una missione in Honduras per
promuovere l’accordo elaborato dal presidente del Costa Rica, Oscar Arias. (Panoramica
internazionale a cura di Marco Guerra) Bollettino
del Radiogiornale della Radio Vaticana Anno LIII no. 224
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Bollettino del Radiogiornale. La richiesta può essere effettuata sulla home page del
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