In Myanmar, nuova condanna per Aung San Suu Kyi: 18 mesi agli arresti domiciliari
La leader dell'opposizione birmana Aung San Suu Kyi è stata condannata ad altri 18
mesi di arresti domiciliari. La sentenza originaria emessa dal tribunale speciale
del regime del Myanmar era stata di tre anni di lavori forzati, ma il verdetto è stato
immediatamente commutato dal leader della giunta militare birmana. La 64enne premio
Nobel per la pace era stata accusata di aver ospitato senza autorizzazione un cittadino
americano, introdottosi nella villa di sua iniziativa, e di aver così violato i termini
degli arresti domiciliari, cui era sottoposta dal 1989. La sentenza ha suscitato
un coro di proteste internazionali e la promessa da parte dell’Unione Europea di inasprire
le sanzioni contro la giunta. Stefano Leszczynski ha intervistato Cecilia
Brighi, sindacalista della Cisl ed esperta dell’area: R. - E' purtroppo
la fine naturale di questa vicenda: tutti sapevamo che Aung San Suu Kyi sarebbe stata
condannata ed è uno schiaffo alle istituzioni internazionali, ai governi, al popolo
birmano che chiede da sempre la liberazione di Aung San Suu Kyi che è stata fino adesso
agli arresti domiciliari in violazione di tutte le norme internazionali. Quindi, è
una sentenza che tutti ci aspettavamo. Nulla di nuovo sotto il sole, purtroppo. D.
– Una situazione che, se non cambierà, è destinata a ripetersi tra 18 mesi? R.
– E’ ovvio ma questo dipende dai governi e dalle Nazioni Unite. Va detto che la giunta
militare ha dato anche un grande schiaffo alle Nazioni Unite quando a Ban Ki-moon,
che recentemente è andato in missione in Birmania, non è stato concesso di parlare
e di vedere Aung San Suu Kyi. Quindi, c’è stata già un’indicazione precisa di come
la giunta militare continui a voler ignorare le istituzioni. Lo fa perché sia Cina
che Russia, ma anche l’India, hanno forti interessi politici ed economici in Birmania
e quindi sostengono attivamente la giunta militare. D. – Cosa
può fare in effetti l’Unione Europea nei confronti di questa situazione? R.
- Intanto, l’Unione Europea ha attivato lo scorso anno una serie di sanzioni economiche
e poi bisognerebbe introdurre tra le sanzioni l’impossibilità di lavorare nel settore
petrolifero.