Quando l’uomo dimentica Dio apre le porte al male: sulle parole del Papa all'Angelus
la riflessione di Salvatore Martinez e Vittorio Possenti
All’Angelus di ieri, Benedetto XVI ha messo l’accento sulle profonde divergenze che
esistono tra un umanesimo ateo e l’umanesimo cristiano. In particolare, ha ricordato
lo straordinario esempio di alcuni Santi martiri, come Edith Stein e San Massimiliano
Kolbe, testimoni di una “carità che ama sino alla fine” e che combatte il male con
il bene. Al microfono di Alessandro Gisotti, il presidente nazionale di Rinnovamento
nello Spirito Santo, Salvatore Martinez, si sofferma sul valore del martirio
nella vita dei cristiani:
R. – C’è
un’espressione di Edith Stein che dice: “Essere di Cristo significa dare la vita a
Cristo” ed è questa, in fondo, la definizione del martirio. Il cristiano è un uomo
di sofferenza e di offerta e la propria vita è offerta nell’offerta di Cristo. Il
cristiano è un “uomo espropriato”, pertanto non vive da sé, non vive per sé. Egli
è un uomo di relazione, in perenne relazione, per cui egli più ama e più vive, più
dona e più riceve, più soffre ingiustizie – e quindi il martirio è beatitudine -,
più è fedele a ciò in cui crede. Sempre Edith Stein diceva che bisogna alimentare
la vita spirituale se si vuol dare qualcosa agli altri. Questo è uno dei problemi
del nostro tempo: un umanesimo sempre più fragile perché sempre più dimentico di Cristo
e delle cose di Cristo. Se non c’è quest’elevazione, non c’è neanche incarnazione
e pertanto non c’è vera umanità, non c’è vera vita.
D.
– Quando l’uomo vive senza Dio il male prende il sopravvento, ha ricordato il Papa.
I Santi ci ricordano invece la bellezza, la pienezza di una vita con Dio e in Dio…
R.
– I Santi ci insegnano l’arte di vivere. Essi hanno centrato l’obiettivo della vita
e questa è la sfida che ricorre da 2 mila anni. Il Manzoni ci direbbe che “essere
senza Dio è già essere contro Dio”, pertanto il martirio è inesorabile nella vita
del cristiano. I Santi ci insegnano, con la loro vita, che il male può essere vinto
con il bene.
D. – Un altro rischio che corre l’uomo
contemporaneo, ha detto Benedetto XVI, è il volersi sostituire a Dio, pretendendo
di essere così più libero. Quale testimonianza sono chiamati a dare i cristiani?
R.
– Il Novecento ha conosciuto il totalitarismo delle ideologie, mentre oggi siamo in
presenza dell’onnipotenza della scienza e della tecnologia. Per questo parlo di un
umanesimo “a misura d’uomo”, che riscopra con umiltà che una libertà sconfinata è
l’inizio dell’inferno – lo diceva già Platone ne “La Repubblica” -. E’ la peggiore
schiavitù degli uomini non porre limiti alla propria azione. Se l’uomo prova ad alzare
lo sguardo e a distaccarsi dall’osservazione delle cose della terra, scoprirà che
c’è un cielo e questo cielo bisogna che si avvicini sempre più alla terra, bisogna
che questo destino eterno dell’uomo – che è insito nello spirito dell’uomo – trovi
più spazio, perché è sempre più soffocato e prigioniero di tanti orgogli.
I
lager nazisti, come il nichilismo contemporaneo, ha rilevato il Papa sempre all’Angelus,
sono la conseguenza della negazione di Dio. Una riflessione su cui si sofferma il
filosofo Vittorio Possenti, dell’Università di Venezia, intervistato da Alessandro
Gisotti:
R. – Quando
evochiamo Auschwitz, ci troviamo dinanzi a un abisso del negativo, a un abisso del
male che è stato percorso fino in fondo a partire da una posizione, quella del disprezzo
dell’uomo. Il disprezzo dell’uomo emerge come risultato del disprezzo di Dio. Il destino
dell’uomo e - se così posso esprimermi - il destino di Dio sono tra loro legati, essendo
l’uomo fatto a immagine e somiglianza di Dio. Quindi, quando si inizia con un ateismo
assoluto, vale a dire con un “antiteismo”, cioè una lotta guerriera in qualche modo
contro Dio, molto presto questa lotta diventa anche una lotta contro l’uomo, un disprezzo
dell’uomo. E’ stato evocato il complesso problema del nichilismo. Il nichilismo ha
più cause. Una delle cause fondamentali teologiche è certamente l’ateismo e, come
dicevo, la rivolta contro Dio. Ci sono anche delle cause filosofiche importanti del
nichilismo, che hanno aggravato in qualche modo il problema. Quindi, la riflessione
di Benedetto XVI coglie nel segno di una grande zona oscura e tenebrosa del ventesimo
secolo.
R. – Il Papa ha sottolineato l’antitesi tra
umanesimo ateo e umanesimo cristiano. L’umanesimo ateo alla fine è contro l’uomo?
D.
– Questo è un altro grande interrogativo su cui la teologia e la filosofia, Papi,
vescovi, filosofi e teologi si sono interrogati a lungo. Pensiamo ad esempio all’umanesimo
integrale di Maritain o al dramma dell’umanesimo ateo come descritto dal teologo Henri
de Lubac. Che cosa significa questa lotta che poi va contro l’uomo? Paolo VI aveva
trovato un’espressione particolarmente sintetica e felice, diceva: “Senza Dio l’uomo
può certamente edificare la terra ma non potrà che edificarla contro l’uomo”. Quello
che inizialmente era un umanesimo scettico, come poteva essere l’umanesimo illuministico
che si volgeva ad alleviare in vari casi la condizione umana, è diventato poi tra
ottocento e novecento un umanesimo ateo o, come dicevo prima, esattamente “antiteistico”
e dunque che produce il contrario di quello che vorrebbe. Forse, all’inizio, l’umanesimo
secolarizzato desiderava una liberazione della condizione umana dai suoi mali, ma
poi si è voltato in qualcosa che è contro l’uomo, secondo la frase molto acuta e molto
profonda di Paolo VI.