Iran: ammesse le torture sui dissidenti in carcere
Si inasprisce ulteriormente la crisi politica iraniana dopo l’ammissione, da parte
delle autorità di Teheran, delle torture subìte da alcuni oppositori incarcerati dopo
le elezioni del 12 giugno. Tra le vittime figura anche il figlio di uno stretto collaboratore
dell'ex candidato conservatore alle presidenziali, Mohsen Rezaie. I leader dell’opposizione
Mussavi e Karrubi denunciano inoltre con forza le violazioni dei diritti umani commesse
contro i loro sostenitori, mentre la società iraniana è scossa per l’andamento dei
processi contro gli oppositori al regime arrestati negli ultimi mesi. Tuttavia il
capo dell’ufficio politico dei Pasdaran, Yadwollah Javani, ha chiesto che vengano
messe sotto processo tre delle principali figure dell’opposizione: l’ex presidente
Mohammad Khatami e i due candidati riformisti sconfitti alle elezioni. Stefano
Leszczynski ha chiesto ad Antonio Papisca, titolare della cattedra Unesco
per i diritti umani, la democrazia e la pace dell'Università di Padova, quale sia
la situazione dei diritti umani in Iran:
R. – I diritti
umani hanno in Iran un interstizio che diventa sempre più largo. Da un lato abbiamo
semplici difensori dei diritti umani. A capo di questi oggi abbiamo senz’altro l’avvocatessa
Shirin Ebadi che ha fondato proprio un centro dei difensori dei diritti umani che
però è stato chiuso nel dicembre dell’anno scorso. Allo stesso tempo abbiamo in Iran
altri che ora, per così dire, scoprono i diritti umani; fanno parte dell’opposizione
e trovano utile riferirsi ai diritti umani. Insomma, da un lato c’è l’invocazione,
la rivendicazione che consideriamo senz’altro genuina e dall’altro c’è una rivendicazione
che possiamo chiamare “di opportunità”. Però, quando si tocca il tema diritti umani
tutto diventa molto impegnativo, in particolare per le autorità di governo dell’Iran.
D. - Come possiamo leggere in quest’ottica l’ammissione delle autorità
iraniane di aver avuto casi di tortura nelle prigioni contro gli oppositori politici
e di voler punire i responsabili di queste torture, in particolare il direttore della
prigione? D. - E’ un gesto che presenta aspetti positivi, nel
senso cioè che l’Iran, il governo in questo caso, intende rispettare quelli che sono
dei principi molto forti di diritto internazionale. Ricordiamo che la pratica della
tortura è uno di quei divieti fortissimi che si dice di “ius cogens”, cioè di un diritto
consuetudinario che va al di là anche delle convenzioni scritte. Quindi è da prendersi
alla lettera e su questo continuare la pressione internazionale. D.
– Abbiamo altri casi nel passato di Paesi o di sistemi politici in cui i diritti umani
anche se utilizzati in maniera strumentale, per quanto possibile poi hanno fatto breccia,
hanno contribuito al cambiamento … R. – Il primo riferimento
che mi viene in mente è quello del Sudafrica. Lì era una questione di apartheid, ma
apartheid significava tante cose: violazioni estese e reiterate di tantissimi diritti
fondamentali. Lì la pressione internazionale e l’azione molto decisa delle nazioni
hanno sortito degli effetti. Si tratta sempre di agire con le tecniche e gli strumenti
che sono connaturali al paradigma dei diritti umani. Quindi è da escludere sempre
l’uso della forza, della violenza anche verbale. D. - Quale
sarà il futuro dei diritti umani in Iran? R. – Certamente c’è
da ricordare anche all’Iran che proprio in questo Paese ci fu la conferenza ufficiale
del trentesimo anniversario della Dichiarazione Universale dei Diritti Umani: la conferenza
di Teheran, nel 1978. Poi teniamo presente che l’attenzione per i diritti umani è
abbastanza antica in Iran.