2009-08-08 15:47:58

Istituti per minori in Italia: nel sud ancora attivi


A tre anni dalla chiusura obbligatoria degli istituti per minori, sono tre le strutture ancora attive in Italia, concentrate al Sud, in Sicilia e in Puglia. Quindici, in totale, i minori accolti. Questi i dati del monitoraggio 2009 del Centro nazionale di documentazione e analisi per l’infanzia e l’adolescenza. Entro dicembre 2006 - secondo la legge di riforma 149 del 2001 - gli istituti avrebbero dovuto cessare di esistere o essere riconvertiti in comunità. Per un’analisi della situazione Roberta Rizzo ha intervistato Mariagrazia Benassi, consigliere nazionale dell’Anfaa, Associazione Nazionale Famiglie adottive e affidatarie.RealAudioMP3

R. – Non è un dato corretto perché gli istituti sono molti di più. Più che diventare comunità questi si sono riconvertiti in maniera piuttosto grossolana: il numero dei minori è sempre quello, solo che sono stati suddivisi in comunità. Il principio che sottende alla gestione del complesso è quello dell’istituto, perché se ci sono dieci comunità con dieci bambini siamo a 100 bambini in un unico edificio. La comunità non può avvicinarsi in questo modo al modello di famiglia.
 
D. – Cosa prevedeva la legge?
 
R. – Nel 2006 si sarebbero dovuti chiudere questi enormi istituti dove il minore era un numero - si parla appunto di istituti che ospitavano anche più di 100 bambini - ed inserire questi bambini in delle comunità che potevano ospitare un massimo di circa dieci bambini. Ogni regione avrebbe dovuto poi legiferare in materia. Ciò significa quindi dare una dimensione di famiglia, inserita però nel tessuto sociale.
 
D. – Cosa vuol dire la riconversione degli istituti in comunità?
 
R. – Bisogna vedere cosa s’intende per “riconversione”. Se devo ristrutturare l’edificio e farlo diventare una comunità, non va bene. Devo aiutare e far sì che possano sorgere delle comunità che siano inserite in un contesto sociale ed istituire, in tutte le regioni, un’anagrafe di quei minori che si trovano nelle comunità, per poter poi pianificare degli interventi ad hoc. Come dice la legge 149, del 2001, “il minore ha diritto a vivere in una famiglia; nella sua famiglia d’origine oppure in una affidataria o adottiva”. E’ ovvio che i costi della permanenza di un minore in comunità sono piuttosto alti, perché c’è una certa struttura da mantenere e ci sono degli operatori, che vanno anche selezionati. I comuni dovrebbero investire molto nella sensibilizzazione dell’affidamento familiare.
 
D. – La chiusura degli istituti è di natura essenzialmente formale?
 
R. – Direi di sì. Dal nostro punto di vista è ancora così. La nostra denuncia è che si facciano realmente delle vigilanze, le quali spettano alla Procura e al Tribunale dei minorenni.







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