Il commento di don Massimo Serretti al Vangelo della Domenica
In questa 19.ma Domenica del Tempo Ordinario, la liturgia continua a proporci il discorso
di Gesù a Cafarnao in cui il Signore afferma di essere “il pane disceso dal cielo”.
Di fronte alle mormorazioni della folla Gesù ribadisce:
“Io sono il pane
della vita. I vostri padri hanno mangiato la manna nel deserto e sono morti; questo
è il pane che discende dal cielo, perché chi ne mangia non muoia”.
Su
questo brano del Vangelo, ascoltiamo il commento del teologo, don Massimo Serretti,
docente di Cristologia all'Università Lateranense:
L'uomo «fatto
di terra» (Sal 9, 39) e, dopo il peccato, destinato a tornare alla terra (Gn 3, 19),
tende a vivere la sua vita senza il Cielo. I più audaci possono anche supporre che
ci sia un Cielo, ma che cosa esso possa effettivamente avere a che fare con la terra
sfugge ad ogni presa e ad ogni slancio meramente terreno.
Quando
Gesù quel giorno disse: «Io sono il pane disceso dal Cielo» e si vide alzare una barriera
di terrigna incredulità, il cuore della sua affermazione era che il Cielo, il mistero
di Dio, era lì, presente in mezzo a loro. In Lui il Cielo non era più separato dalla
terra, Perciò la terra della loro concreta umanità tornava, in Lui, ad avere un Cielo.
Era l'annuncio della fine dello squallore di una terra senza Cielo, di una umanità
senza Dio.
I tre movimenti del "venire a Lui", del
"credere in Lui" e del "mangiare" il pane che Egli è, sono tre passi di riapertura
della terra al Cielo, dopo che il Cielo si è aperto alla terra. (1) Non si può andare
a Cristo se non si è attirati dal Padre (Gv 6, 44). (2) Non si può credere in Lui
se non sotto l'azione dello Spirito Santo (1 Cor 12, 3). (3) Non si può aver parte
al suo Corpo e al suo Sangue senza essere trasformati e conformati a Lui.
Tutto
questo Gesù lo chiama con un nome che non appartiene più alla terra: «vita eterna».
Andare a Lui, credere in Lui, mangiare il Pane disceso dal Cielo sono per noi, qui
ed ora, la «vita eterna».