Strage di civili in Afghanistan: 21 morti, tra cui donne e bambini
Un’ennesima strage ha sconvolto l’Afghanistan: almeno 21 civili, tra cui donne e bambini,
sono morti in seguito allo scoppio di una bomba nascosta lungo il ciglio di una strada.
L’attentato è avvenuto in una regione meridionale del Paese, roccaforte dei talebani.
Il servizio di Amedeo Lomonaco:
A due settimane
dalle cruciali elezioni del prossimo 20 agosto, la provincia meridionale di Helmand,
teatro di una lunga offensiva delle truppe statunitensi e britanniche contro le milizie
talebane, è sullo sfondo di un nuovo, drammatico attentato. Un ordigno piazzato sul
ciglio della strada è stato fatto esplodere al passaggio di un gruppo di civili che
si stavano recando ad una cerimonia nuziale. In base alle prime ricostruzioni, le
vittime erano a bordo di un rimorchio legato ad un trattore investito dalla deflagrazione.
Secondo diversi osservatori, si tratta di un’ennesima azione terroristica compiuta
dai talebani per destabilizzare il Paese prima delle elezioni. Ma anche in questo
scenario segnato dalla violenza si possono raggiungere, nel breve periodo, confortanti
risultati. E’ quanto sostiene l’ambasciatore britannico in Afghanistan, secondo il
quale almeno due terzi dei ribelli che combattono con i talebani possono essere convinti
a schierarsi con le forze internazionali. Il diplomatico esprime anche un cauto ottimismo
sull’esito delle elezioni presidenziali del 20 agosto. A suo giudizio, circa il 70
per cento degli elettori “potrà votare” anche nella provincia di Helmand, la più turbolenta
del Paese. Il nuovo segretario della Nato, Anders Fogh Rasmussen, arrivato ieri a
Kabul, ha dichiarato infine che l’Afghanistan ha bisogno di una soluzione complessiva,
che non preveda solo l'opzione militare ma che coinvolga in pieno la società civile,
per chiudere il lungo e sanguinoso conflitto.
Russia-Georgia Ad
un anno dalla guerra tra Georgia e Russia per il controllo dell’Ossezia meridionale
la regione continua a rimanere in uno stato di tensione molto forte. Nei giorni scorsi
si sono verificati incidenti lungo la linea di confine tra Georgia ed Ossezia del
Sud, ormai sotto il controllo militare di Mosca. Una situazione che coinvolge anche
i rapporti tra il Cremlino e la Casa Bianca, con quest’ultima alleata del governo
di Tiblisi. Per un quadro della situazione in quest’area del Caucaso sentiamo Paolo
Quercia, analista del Centro militare di studi strategici, intervistato da Stefano
Leszczynski.
R. – Sicuramente
gli effetti distorti nelle relazioni tra questi due Paesi sono ancora in vigore. Sostanzialmente,
però, vengono stemperati all’interno di un bilaterale molto più ricco di questioni
anche più strategiche e importanti della questione georgiana o caucasica. Soprattutto
il dossier della proliferazione nucleare è molto più a cuore alla nuova amministrazione
Obama, probabilmente, degli assetti geopolitici nel Caucaso. Quindi, continua una
rilevanza di questa questione irrisolta, ma rimane comunque un aspetto secondario
nei rapporti tra le due superpotenze.
D. – Su tutta
questa situazione si estende sempre più l’ombrello della Nato. Come mai continua,
pur sapendo che genererà nuove tensioni?
R. – C’è
stata la visita di Biden in Ucraina, oltre che in Georgia. Proprio questi due Paesi
sono la spina nel fianco dell’allargamento della Nato visto da Mosca. La strategia
americana continua a mantenere una porta aperta per questi Paesi. E’ una strategia
di lungo periodo che continua ad essere ribadita. Ma non vedo anche da parte statunitense
interessi forti ad accelerare questo processo.
D.
– In relazione alla questione dell’Ossezia meridionale, c’è effettivamente il pericolo
che la situazione possa nuovamente esplodere o la presenza russa in Ossezia meridionale
ormai è una garanzia?
R.- No, non è una garanzia
da questo punto di vista, in quanto proprio le provocazioni possono venire anche da
parte russa, non soltanto da parte degli autoproclamati governi locali. Anche perché
la leadership osseta, se così possiamo chiamarla, ha anche una serie di rivendicazioni
irrendetiste di territori che fanno parte della Georgia, ma che secondo loro dovrebbero
far parte dell’autoproclamata Repubblica di Ossezia. Quindi le motivazioni di tensione
sul campo sono numerose. Forse il ruolo della Russia adesso è di mantenere le posizioni
raggiunte, non di produrre nuove forme di destabilizzazione.
In Kenya,
incontro tra il segretario di Stato Usa e il presidente somalo Il segretario
di Stato americano, Hillary Clinton, incontra oggi a Nairobi, in Kenya, il presidente
somalo, Sheikh Sharif Sheikh Ahmed. Al centro dei colloqui ci sono il conflitto con
i ribelli islamici e questioni riguardanti lo sviluppo, la lotta alla povertà e il
contrasto all’Aids. Sulla situazione in Somalia, ascoltiamo al microfono di Lidia
O’Kane, della nostra redazione in lingua inglese, mons. Giorgio Bertin,
vescovo di Gibuti e amministratore apostolico di Mogadiscio:
R. – L’attuale
situazione è estremamente difficile, soprattutto a partire dal mese di maggio quando
ci sono stati degli scontri aperti tra i cosiddetti estremisti islamici e forze dell’attuale
governo di transizione che hanno portato almeno altri 250 mila abitanti di Mogadiscio
a dover lasciare la città.
D. – Quale significato
ha per la Somalia il tour diplomatico in Africa del segretario di Stato americano
Hillary Clinton?
R. – Lo vedo come un’opportunità
in più per l’attuale governo di avere un certo sostegno internazionale. Ma il sostegno
internazionale non sarà sufficiente se in Somalia non ci sarà uno sforzo ulteriore
anche da parte della popolazione di resistere agli elementi estremisti e nel dare
un appoggio più aperto a questo governo, nato da un grande sforzo per la riconciliazione.
Assassinato
il ministro dell’informazione del Puntland Ancora in Somalia: ieri sera è stato
ucciso il ministro dell'Informazione della regione autonoma del Puntland. Al momento,
l’assassinio non è stato rivendicato. Il sospetto è che dietro questo omicidio ci
siano estremisti islamici o bande di pirati che controllano la zona costiera del Puntland.
Naufragio
di un traghetto al largo delle isole Tonga Ci sono molte donne e bambini tra
i 50 dispersi a largo delle isole Tonga, nel Pacifico in seguito al naufragio di un
traghetto. L'imbarcazione, in servizio fra la capitale dell'arcipelago Nuku'alofa
e le altre isole, trasportava 49 passeggeri e 30 membri d'equipaggio. Le cause del
naufragio rimangono da accertare.
Incidente in Pakistan E' di almeno
34 morti il bilancio dell'incidente di un pullman che è precipitato in un fiume, nel
nord del Pakistan. Il mezzo è uscito di strada nei pressi della nota meta turistica
di Gilgit. I soccorsi non sono ancora riusciti a recuperare i corpi delle vittime.
Anniversario
della bomba atomica su Hiroshima Sono passati 64 anni dal primo attacco atomico
della storia. Era il 6 agosto del 1945 quando un ordigno nucleare lanciato da un bombardiere
statunitense rase al suolo Hiroshima. Tre giorni dopo un’altra bomba atomica colpì
la città di Nagasaki. Il 15 agosto arrivò poi la resa del Giappone che sancì la fine
della Seconda Guerra Mondiale. Ricordando quei tragici eventi il sindaco di Hiroshima,
Tadatoshi Akiba, ha lanciato un appello per l’abolizione totale delle armi atomiche
entro il 2020. Il servizio di Stefano Vecchia:
Dopo 64 anni
dal lancio della prima atomica della storia su un obiettivo civile, Hiroshima ricorda
oggi le sue quasi 264 mila vittime tra morti e sopravvissuti con i segni indelebili
dell’olocausto nucleare. Nel parco, che nel cuore della città ricorda il tragico evento,
50 mila persone hanno partecipato alla cerimonia commemorativa, osservando un minuto
di silenzio alle 8.45 locali, ora esatta dell’esplosione. Il sindaco della città nel
suo breve discorso ha ricordato non solo la tragedia che colpì il Giappone il 6 agosto
1945, ma anche la necessità che il mondo ricordi questa data, come pure la successiva
del 9 agosto, in cui fu Nagasaki ad essere annientata dall’atomica per riflettere,
condannare, ma soprattutto per accelerare il disarmo nucleare. Tadatoshi Akibaha espresso in questo senso apprezzamento per l’appello del presidente statunitense,
Barack Obama, ad un mondo libero dalla minaccia nucleare. Non è un anniversario qualunque
quello di oggi. All’interno del mausoleo della bomba sono stati posti recentemente
i nomi di 5635 nuove vittime, riconosciute legalmente dopo un’aspra battaglia giudiziaria,
in parte non ancora conclusa, ma che ha riacceso in Giappone il dibattito sull’uso
della tecnologia atomica per scopi bellici. Alcuni settori politici, infatti, vorrebbero
sviluppare questa energia come parte della capacità difensiva del Paese, in particolare
rivolto a contrastare la minaccia nord coreana.
Impiccagioni
in Iran Una dura condanna per le 24 esecuzioni dello scorso 30 luglio in Iran
arriva dalla presidenza svedese dell'Unione Europea che esprime, con un comunicato,
la propria preoccupazione per il ricorso frequente nel Paese alla pena capitale. L’Ue
– si legge nel documento - continuerà ad esortare le autorità iraniane ad abolire
completamente la pena capitale e si impegnerà per una moratoria sulle esecuzioni come
chiesto dalle risoluzioni dell'Assemblea Generale dell'Onu.
Appello di Ban
Ki-moon per la liberazione di Aung San Suu Kyi Il segretario generale dell'Onu,
Ban Ki-moon, ha nuovamente esortato la giunta militare del Myanmar a liberare i prigionieri
politici, tra cui Aung San Suu Kyi. Il Premio Nobel per la pace, simbolo della lotta
per i diritti umani nel suo Paese, rischia fino a cinque anni di carcere per violazione
degli arresti domiciliari. La sentenza del processo contro Aung San Suu Kyi è attesa
per il prossimo 11 agosto.
Guerra commerciale tra Venezuela e Colombia Proseguono
gli scontri diplomatici tra Venezuela e Colombia. Il presidente venezuelano, Hugo
Chavez, ha bloccato l’importazione di 10 mila auto dalla Colombia e l'espulsione di
un’azienda colombiana dal settore energetico. Tali misure arrivano dopo l'intenzione
del presidente colombiano, Alvaro Uribe, di concedere sette basi militari agli Stati
Uniti. Nei giorni scorsi Chavez aveva richiamato l'ambasciatore a Bogotà in seguito
alle accuse secondo cui il Venezuela avrebbe fornito armi ai ribelli colombiani delle
Forze armate rivoluzionarie (Farc).
Scontri tra polizia e universitari in
Honduras Lanci di gas lacrimogeni e cariche della polizia dell'Honduras contro
una manifestazione studentesca in favore del presidente deposto, Manuel Zelaya. Gli
scontri sono avvenuti stamattina a Tegucigalpa davanti alla sede universitaria. A
San Pedro Sula, seconda città del paese, si sono poi svolte altre marce a sostegno
di Zelaya. Ieri l’ex presidente honduregno ha dichiarato che Washington potrebbe risolvere
la crisi senza difficoltà.(Panoramica internazionale a cura di Amedeo Lomonaco
e Mariella Pugliesi) Bollettino del Radiogiornale
della Radio Vaticana Anno LIII no. 218
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possibile ricevere gratuitamente, via posta elettronica, l'edizione quotidiana del
Bollettino del Radiogiornale. La richiesta può essere effettuata sulla home page del
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