Paolo VI, Pastore mite e fermo per amore della Verità: le parole di Benedetto XVI
su Papa Montini, nel 31.mo anniversario della scomparsa
Trentuno anni fa, la morte di Papa Montini: era la sera del 6 agosto 1978, Festa della
Trasfigurazione. Nell’occasione, una solenne Eucaristia sarà celebrata, oggi pomeriggio
alle ore 17.00, dal cardinale Angelo Comastri, vicario generale del Papa per lo Stato
della Città del Vaticano, all’Altare della Cattedra della Basilica di San Pietro.
Umile testimone del Vangelo, Paolo VI portò a compimento il Concilio Vaticano II e
guidò la Chiesa con saggezza e lungimiranza assumendo, per amore della Verità, decisioni
anche impopolari. In questo servizio di Alessandro Gisotti ripercorriamo alcune
riflessioni di Benedetto XVI sul suo amato predecessore Paolo VI:
Un Pastore mite
e fermo che guidò la Barca di Pietro in anni burrascosi, tenendo lo sguardo fisso
su Cristo. Per Benedetto XVI, Paolo VI è un Pontefice “indimenticabile”. A Papa Montini,
Joseph Ratzinger è legato da un affetto particolare: fu proprio Paolo VI a nominarlo
arcivescovo di Monaco di Baviera e a crearlo cardinale. Ma qual è stato il “segreto
dell’azione pastorale di Paolo VI” a cui attinse lungo tutto il suo Pontificato? “L’amore
per Cristo”, risponde Benedetto XVI nell’udienza all’Istituto Paolo VI, il 3 marzo
2007: “In effetti, il segreto dell'azione pastorale che Paolo
VI svolse con instancabile dedizione, adottando talora decisioni difficili e impopolari,
sta proprio nel suo amore per Cristo: amore che vibra con espressioni toccanti in
tutti i suoi insegnamenti. Il suo animo di Pastore era tutto preso da una tensione
missionaria alimentata da sincero desiderio di dialogo con l’umanità. Il suo invito
profetico, più volte riproposto, a rinnovare il mondo travagliato da inquietudini
e violenze mediante 'la civiltà dell’amore', nasceva da un totale suo affidamento
a Gesù, Redentore dell’uomo”. Uomo di pace, impegnato
coraggiosamente nel dialogo ecumenico, Paolo VI dà inizio ai viaggi apostolici internazionali.
Ma è soprattutto ricordato come il Papa che ha portato a compimento il Concilio Vaticano
II e che ha guidato la Chiesa negli anni difficili del post Concilio. Un merito “quasi
sovrumano”, afferma Benedetto XVI, che si apprezza sempre più man mano che il nostro
sguardo sul passato “si fa più largo e consapevole”: “Se
infatti fu Giovanni XXIII a indirlo e a iniziarlo, toccò a lui, suo successore, portarlo
a compimento con mano esperta, delicata e ferma. Non meno arduo fu per Papa Montini
reggere la Chiesa nel periodo post-conciliare. Non si lasciò condizionare da incomprensioni
e critiche, anche se dovette sopportare sofferenze e attacchi talora violenti, ma
restò in ogni circostanza fermo e prudente timoniere della barca di Pietro”. (3 marzo
2007)
Del Magistero di Paolo VI ricordiamo alcune pietre miliari
come le Encicliche Humanae Vitae e Populorum Progressio. La prima ribadisce che la
libertà va coniugata alla verità di fronte al dono inestimabile della vita umana.
Nel 40.mo anniversario della pubblicazione, nel 2008, Benedetto XVI ricorda il contesto
difficile in cui maturò la decisione di Papa Montini di dedicare un’Enciclica all’amore
coniugale responsabile: "Quel documento divenne ben presto
segno di contraddizione. Elaborato alla luce di una decisione sofferta, esso costituisce
un significativo gesto di coraggio nel ribadire la continuità della dottrina e della
tradizione della Chiesa. Quel testo, spesso frainteso ed equivocato, fece molto discutere
anche perché si poneva agli albori di una profonda contestazione che segnò la vita
di intere generazioni”. (10 maggio 2008) Profetica
anche la Populorum Progressio del 1967 in cui Paolo VI sottolinea che lo sviluppo
è il “nuovo nome della pace”. Ma uno sviluppo senza Dio, avverte Papa Montini, è uno
sviluppo disumanizzato: “In questo testo più volte citato
nei documenti successivi, quel grande Pontefice già asseriva con forza che lo sviluppo
non si riduce alla semplice crescita economica. Infatti, esso "per essere sviluppo
autentico, deve essere integrale, il che vuol dire volto alla promozione di ogni uomo
e di tutto l’uomo". Proprio questa Enciclica, spiega
Benedetto XVI, è la bussola della “Caritas in veritate”. Come 40 anni fa, è l’esortazione
che accomuna i due Pontefici, c’è bisogno di uno sviluppo che rispetti la dignità
dell’uomo. Sui tratti salienti del Pontificato di Paolo VI, Luca
Collodi ha raccolto la riflessione del cardinale Achille Silvestrini, prefetto
emerito della Congregazione per le Chiese Orientali:
R. - Prende
l’eredità da Giovanni XXIII per condurre e attuare il Concilio. Poi c’è la visione
mondiale di Paolo VI, col viaggio in Terra Santa, con la prima visita di un Papa all’Onu,
in Kenya, a Bogotà: la visione internazionale. E soprattutto l’insegnamento della
“Ecclesiam suam”: la Chiesa che si fa dialogo col mondo, e poi la “Populorum progressio”,
che affronta i grandi problemi della globalizzazione economico-sociale nel mondo.
Una serie di cose che ne danno una originalità, una esemplarità nell’azione del Pontificato. D.
- Come definirebbe il suo Pontificato? R. – Dopo Giovanni XXIII
che ha aperto, con l’idea del Concilio e della “Pacem in terris”, le grandi prospettive
per la Chiesa contemporanea, Paolo VI è un po’ colui che si prende il carico, il fardello
dell’attuazione del Concilio. E’ un po’ il cireneo del Concilio: porta la croce con
convinzione però nello stesso tempo con la consapevolezza del peso delle responsabilità
che il Concilio comportava per la Chiesa. Tra le novità del Pontificato
di Paolo VI il ruolo assegnato al laicato: è quanto sottolinea il teologo Marco
Vergottini, docente di “Introduzione alla Teologia” presso la Facoltà Teologica
di Milano, al microfono di Luca Collodi:
R. - Io credo
che Paolo VI abbia puntato a riabilitare la figura dei laici, anzitutto riconoscendo
che essi sono membra vive della Chiesa Popolo di Dio e quindi anche a reclamare per
loro la totalità dell’annuncio del Vangelo, ma insieme riaffermandone la partecipazione
la non estraneità al mondo, alla cultura, alla società. Mi pare che queste due istanze,
quella dell’evangelizzazione e quella del rapporto tra cristianesimo, storia ed epoca,
siano le due chiavi per riuscire a ripensare il ruolo dei laici. D.
– Un Papa estremamente moderno e attuale… R. – Io direi proprio
di sì. Forse l’idea che potremmo ancora cogliere è quella di ripensare a cosa vuol
dire la fede, l’essere cristiano. Da un lato c’è la dimensione personale della fede,
dall’altra c’è la dimensione ecclesiale dell’annuncio cristiano, della fede cristiana.
Infine, c'è anche la dimensione etica perché appunto il cristiano è colui che fa.
Diceva Paolo VI: “L’uomo dei nostri giorni ascolta più volentieri i testimoni che
i maestri e se ascolta i maestri è perché questi sono prima testimoni”. Sul
Concilio Vaticano II e la Populorum Progressio, eredità feconda lasciata da
Paolo VI alla Chiesa, Luca Collodi ha intervistato lo storico Alberto Monticone,
membro del Comitato Scientifico dell’Istituto Paolo VI:
R. – L’evento
più importante per la Dottrina sociale della Chiesa del secolo scorso è stato il Concilio
Vaticano II e a me pare che ci sia proprio una duplice relazione tra il Concilio e
Paolo VI in riferimento alla Dottrina sociale. La prima relazione è che Paolo VI applica
la lettura dei “segni dei tempi” nella “Populorum progressio”. C’è proprio il suo
sguardo, il suo accorgersi di che cosa sta cambiando, di quali sono le novità che
emergono, di quali sono le attese del mondo nuovo. Una seconda relazione con il Concilio
è proprio l’applicazione del criterio del rapporto tra Chiesa e mondo, sia alla luce
della “Lumen gentium” sia della “Gaudium et spes”: un rapporto nuovo che si fa evangelizzatore
ed umanitario nello stesso tempo. D. - Leggendo la Populorum
Progressio e la Caritas in veritate di Benedetto XVI si colgono delle analogie chiare… R.
– Non c’è dubbio. Le risorse del mondo, cioè la ricchezza vera del mondo, non sono
proprietà riservata di uno o dell’altro popolo ma c’è questo bisogno di una carità
- che io chiamerei “comunitaria” - che deve rispondere all’equità della ottimizzazione
e della ripartizione delle risorse. Eppure, c’è una visione positiva della globalizzazione
da parte di Paolo VI, che è in termini di una carità e “agape”, come ha detto anche
Benedetto XVI nella sua prima Enciclica. (Montaggi a cura di Maria Brigini)