La testimonianza di padre Moretti, responsabile della missione "sui iuris", in Afghanistan
“Sì, questa è un po’ una chiesa catacombale, con la differenza che qui viene liberamente
chi vuole, con spirito aperto di solidarietà e grande partecipazione”. Così il sacerdote
barnabita padre Giuseppe Moretti, 70 anni, si è espresso domenica scorsa prima di
celebrare la Messa nella piccola chiesa della Madonna della Divina Provvidenza, unico
edificio di culto cattolico presente in Afghanistan. Le sue parole, raccolte dall’Ansa
e diffuse dall’Osservatore Romano, descrivono con efficacia la situazione, le condizioni,
il clima spirituale della testimonianza cristiana in una terra di frontiera. Ad affidargli
la responsabilità di questa missione, creata "sui iuris", fu Papa Giovanni Paolo II.
La chiesa, una piccola costruzione bianca di una ventina di metri per quindici, opera
all'interno del recinto dell'ambasciata italiana, una posizione che pesa. Padre Moretti,
presente in Afghanistan già dagli anni Settanta, spera, infatti, che un giorno si
possa costruire una chiesa proprio nel centro di Kabul. “Minacce qui non ne abbiamo
avute – racconta – ma la chiusura verso di noi è totale e le prospettive di raggiungere
gli afghani risultano essere veramente minime. Il clima, poi, non è certo favorito
dalle tragiche notizie provenienti dal Pakistan, dove la violenza contro i cristiani
divampa”. Alla celebrazione eucaristica nella piccola chiesa intitolata alla Madonna
della Provvidenza hanno preso parte circa cento fedeli, domenica scorsa, uomini e
donne, distribuiti in una trentina di banchi. Molte i volti asiatici, qualcuno di
colore, un generale olandese, un addetto militare tedesco, vari giovani e suore di
Madre Teresa di Calcutta e dell'ordine delle Piccole sorelle. Padre Moretti, nel descrivere
l'interno della piccola chiesa, tiene a evidenziare una lapide posta a sinistra dell'entrata.
Su di essa sono scolpiti i nomi di tredici militari italiani morti in questi anni.
"Manca ancora - dice padre Moretti - il nome del quattordicesimo, Alessandro Di Lisio".
(S.G.)