Pillola abortiva RU486. Mons. Fisichella: s'impone la banalizzazione della vita e
della morte
“Si vuole imporre la banalizzazione della vita e della morte”: così mons. Rino
Fisichella, presidente della Pontificia Accademia per la Vita dopo il via libera,
ieri, da parte dell’Aifa, l'Agenzia Italiana del farmaco, all’utilizzo in strutture
ospedaliere della pillola abortiva RU486. La Chiesa – ha precisato – continuerà a
lottare per l’affermazione della vita, non rinunciando ad aiutare le donne che affrontano
scelte drammatiche. Massimiliano Menichetti lo ha intervistato:
R. – Direi
che è proprio il tema della tristezza quello dominante, cioè, si sceglie ancora una
volta di seguire la via più facile e non quella più impegnativa. La via più facile
è quella di dover dare una pillola, la via più impegnativa è quella di dover educare.
Se si fa un ragionamento soltanto economico, è evidente che dare una pillola al sistema
sanitario costerà molto di meno; se invece si fa un ragionamento molto più importante,
che guarda alla persona, alla posta in gioco, allora dobbiamo seguire un’altra strada. D.
– Più volte ha ribadito “è importante far comprendere il valore della vita, sempre
e comunque”. Sembra però che si stia andando in un direzione del tutto opposta… R.
– La direzione verso cui si sta andando, purtroppo, è quella di voler imporre la banalizzazione
della vita e addirittura la banalizzazione della morte. Questo è un processo che sembra
irreversibile, mentre invece dobbiamo fare di tutto, la Chiesa in primo luogo, le
istituzioni formative, per collaborare con la famiglia perché alle giovani generazioni
si dia un impatto diverso. D. – Ribadiamolo: l’embrione è vita
umana e di conseguenza abortire significa uccidere una vita… R.
– Un aborto, in qualsiasi forma viene compiuto, sia attraverso un’operazione, sia
attraverso un qualsiasi trattamento sanitario, comporta sempre la distruzione di una
vita umana, perché per definizione l’aborto è proprio questo: la delibera e diretta
soppressione di una vita umana che è già iniziata. E’ bene ribadire anche, da questo
punto di vista, che non è che cambiando tecnica cambia l’insegnamento della Chiesa
in proposito, anche con le conseguenze che ne derivano per i cristiani. L’aborto è
sempre un male intrinseco, è un male in sé perché è una soppressione di una vita innocente.
Bisogna ribadire, con tutte le nostre forze, che il dramma di una soppressione di
una vita umana è un dramma che permane poi per tutta l’esistenza. D.
– Cosa farà la Chiesa di fronte a questa decisione? R. – Ripercorrere
la stessa strada che abbiamo fatto quando sono entrate altre leggi similari, sia quella
sul divorzio sia quella sull’aborto, la 194; non faremo altro che continuare a compiere
il nostro sforzo educativo, che è innanzitutto quello di educare alla comprensione
del valore della vita e poi è quello di aiutare soprattutto le donne che in quel momento
sono chiamate a compiere una scelta che è veramente drammatica. Siamo chiamati non
solo illuminando la loro coscienza, ma soprattutto dando la nostra compagnia della
fede, dando anche il nostro aiuto. Direi che sono tante quelle situazioni in cui possiamo
verificare come la Chiesa sia stata vicino a tutte quelle situazioni, aprendo le case
famiglia, facendo di tutto per non lasciare sola la donna nel momento della decisione
d’accogliere la vita. Un coro di no alla pillola abortiva RU486
si leva dalle organizzazioni pro-life e dall’Associazione medici cattolici italiani
che oltre a sottolineare l’inaccettabilità della soppressione della vita nascente,
rimarcano l’alta pericolosità del preparato per la salute della donna. Al microfono
di Massimiliano Menichetti il presidente dell’Associazione Scienza e Vita,
Lucio Romano:
R. – Assolutamente
critica la considerazione e la valutazione sulla decisione del Consiglio di amministrazione
dell’Aifa. Sotto il profilo scientifico non c’è assolutamente certezza e serenità
per quanto riguarda gli effetti collaterali e la molteplicità di decessi che sono
riportati in letteratura. Sotto il profilo procedurale è una metodica, quella dell’aborto
chimico, che dà luogo alla privatizzazione dell’aborto. E’ impossibile che possa essere
rispettata la legge 194 del ’78, in particolare l’articolo 8, perché tecnicamente
la donna abortirà a casa, nel proprio domicilio, in quanto l’assunzione della RU486
avverrà sì presso la struttura ospedaliera e così la prostaglandina dopo tre giorni,
ma il vero e proprio aborto, vale a dire l’espulsione dell’embrione, avverrà a casa.
D. – La pillola dà di fatto avvio a un aborto vero e proprio? R.
– Esatto. La RU486 impedisce ad un ormone, il progesterone, di poter agire. Dopo due
giorni si interviene con le prostaglandine che sono delle sostanze chimiche che servono
a far contrarre l’utero in modo tale da espellere l’embrione che è già ovviamente
morto, in ragione dell’azione della RU486. Ma il tutto avviene, l’espulsione, al di
fuori della struttura ospedaliera. D. – Lei, oltre ad essere
il presidente di Scienza e Vita, è anche un ginecologo. Quali rischi corre anche la
donna? R. – Rischi sotto il profilo tecnico, salutare, e una
banalizzazione della procedura. Abbiamo casi di metrorragie, sepsi, infezioni che
devono essere attentamente controllate. La banalizzazione consiste in un’eccessiva
semplificazione che non significa la banalizzazione di quella che è la reazione della
donna stessa ma la banalizzazione di una procedura che porterà in tempi estremamente
ridotti, entro la settima settimana di amenorrea, 49 giorni, ad indurre l’aborto.
Il che vorrà significare tempi estremamente ridotti anche per una riflessione e per
una presa in carico di un eventuale decisione che possa contemplare il prosieguo
della gravidanza. Non è assolutamente vero che è una tecnica innocua e non è assolutamente
una tecnica meno invasiva. Basti dire - sempre richiamando la letteratura scientifica
- che il rischio di mortalità materna con aborto chimico è 10 volte superiore al rischio
di mortalità materna con aborto chirurgico. D. - Ad oggi quante
persone sarebbero morte utilizzando questo farmaco, secondo le vostre informazioni? R.
- Dai 16 ai 29 decessi. D. – C’è chi afferma che statisticamente
questo dato non sia rilevante. E’ così? R. – E’ rilevantissimo
e sarebbe ancora più rilevante alla luce anche della richiesta che abbiamo fatto ufficialmente
che il report dell’Exelgyn - che è stato secretato - e così il parere del comitato
tecnico scientifico dell’Aifa siano resi pubblici. Non c’è nessun discorso di privacy
perché qualsiasi documento ovviamente può non riportare i nomi delle donne che sono
state interessate, ma sicuramente ci sono stati molti decessi che richiedono un’attenta
valutazione ed un attenta riflessione proprio nell’interesse della salute delle donne. D.
– Quali margini di manovra secondo lei adesso ci possono essere per tornare indietro
rispetto a questa approvazione … R. – Si demanda sicuramente
una responsabilità politica ad intervenire nell’ambito della decisione assunta dall’Aifa
stessa e una valutazione quindi di ordine legislativo.