2009-07-30 15:07:53

Denuncia dell'Onu: stupro come arma di guerra


“Il sistematico utilizzo della violenza come un’arma, principalmente sulle donne, è diventato di uso comune nei conflitti in Africa, Asia ed Europa”. Cosi’ il segretario generale dell’Onu, Ban Ki-moon, nel suo rapporto presentato nei giorni scorsi al Consiglio di Sicurezza. Il numero uno del Palazzo di Vetro ha inoltre rivolto un appello ai Paesi interessati “perché rafforzino le misure protettive e di prevenzione nei confronti del fenomeno”. Salvatore Sabatino ha intervistato Rosanna Sèstito, una ginecologa di “Medici senza Frontiere”, appena rientrata dal Nord Kivu, in Repubblica Democratica del Congo, dov’è stata impegnata in un progetto teso ad assistere donne vittime di violenze. Ascoltiamo la sua testimonianza:RealAudioMP3

R. – Lo stupro ancora oggi in molti Paesi, in troppi, viene utilizzato come una vera e propria arma di guerra. Lo stupro non vuole tanto la morte dell’altro, ma vuole proprio sbarazzarsi dell’origine dell’altro, arrivare al concepimento, quindi sostituendosi all’altra collettività genetica: è un’invasione dell’identità.

 
D. – C’è anche una stigmatizzazione della donna che una volta violentata non viene più rispettata nelle società di provenienza...

 
D. – La donna non viene più accettata dalla società, soprattutto se ritorna incinta e questo è un fatto molto grave perché porta la donna a un isolamento e spesso al suicidio. Sono molto frequenti i suicidi delle donne a causa di questo rifiuto sociale dopo lo stupro. Per cui, la donna non solo si vede vittima di questo crimine, ma addirittura viene rigettata dalla società. Di qui l’isolamento, la mancanza di lavoro. Molte volte le donne sono costrette a prostituirsi e questo porta al suicidio, all’abbandono dei bambini nati dallo stupro fino all’infanticidio.

 
D. - C’è una sorta anche di rassegnazione. Le donne che abitano zone di guerra vivono lo stupro come una sorta di cosa inevitabile...

 
R. – Sì, lo vivono quasi come un “topos”, come un luogo della guerra; noi facciamo fatica ad accettarlo, ma loro lo vivono come un evento inevitabile: con un gran senso di colpa, perché quando ricevo le donne nei nostri progetti, la prima cosa che mi chiedono è: perché a me? Che cosa ho fatto di male?

 
D. - Quali sono i motivi che spingono alle violenze sessuali contro le donne? Ci sono anche delle credenze popolari?

 
R. – Assolutamente sì, nella mia esperienza in Liberia spesso al posto di un salario i soldati venivano retribuiti con delle donne. In Congo, per esempio, c’è una credenza che avere dei rapporti con ragazze prepubere o dopo la menopausa rafforza l’uomo durante i combattimenti e quindi lo protegge dalle ferite. Oppure, vengono rapite delle donne e vengono trasformate in vere e proprie schiave sessuali che servono appunto per tenere alto il morale delle truppe. Possono essere utilizzate anche per trasmettere l’Aids e quindi la violenza come arma biologica.

 
D. – Come si può di fatto prevenire questo fenomeno?

 
R. – Sensibilizzare le donne. Per esempio, soprattutto i campi rifugiati sono un luogo dove avvengono tantissime violenze sessuali e noi sensibilizziamo le donne al fatto che è una cosa che può esistere. Quindi, dire alle donne i luoghi dove possono andare e dove non possono andare. Sicuramente la sensibilizzazione della popolazione, le campagne contro le violenze, le denunce contro le violenze, sono una forma di prevenzione.







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