Padre Pelucchi, presidente del Cime: i missionari italiani devono riqualificarsi per
rendere incisivo il loro servizio nel proprio Paese e all'estero
E’ necessario riflettere sul ruolo dei missionari nel mondo e rilanciare l’azione
evangelizzatrice anche in Italia. Così in sintesi padre Alberto Pelucchi, presidente
della Conferenza Istituti Missionari Italiani (Cimi) che sottolinea: “I sacerdoti
impegnati nella missione ad gentes sono una risorsa che va promossa ed aiutata".
Massimiliano Menichetti lo ha intervistato:
R. - Più
che in passato, oggi siamo sempre più coscienti di ciò che abbiamo ricevuto, non solo
dato, nel nostro essere presenti in Paesi del sud del mondo che conoscono ricerche,
attese, speranze e anche fatiche diverse dalla nostra Chiesa in Europa. Oggi, ormai,
la missione non è solo dare voce a chi non ha voce. Chi non ha voce oggi ce l’ha:
il problema è che non riesce a farsi sentire, non riesce neanche a trovare il luogo
dove farsi ascoltare, non riesce ad avere il microfono in mano. E’ il tempo in cui
noi missionari dobbiamo rinunciare al microfono e darlo ad altri. Il missionario è
nato per restare e poi per ripartire.
D. - Alcune
settimane fa avete scritto una lettera a tutti i vescovi italiani...
R.
- Oggi, noi in Italia, chi siamo, cosa siamo, cosa possiamo offrire? Siamo di meno,
siamo anche vecchi, c’è più missione da parte di tanti protagonisti che una volta
non c’erano. Abbiamo bisogno di qualificarci e anche di ridefinire la nostra presenza.
D.
- Quindi, unirvi ad un respiro più globale?
R. -
Sì, credo a imparare a collaborare di più con le forze locali, metterci di più in
gioco sul territorio, anche di fronte a certe urgenze che toccano tutti: povertà,
immigrazione, dialogo interreligioso, questioni legate alla giustizia e alla pace.
Questo credo sia un campo nel quale dobbiamo impegnarci ancora di di più.
D.
- In questo contesto, ribadite che sono in calo le vocazioni e il numero di missionari
di origine italiana...
R. – Sì sono in calo perché
forse anche abbiamo bisogno di cambiare la nostra identità qui.
D.
- In questo senso la Chiesa locale vi può aiutare?
R.
- Ci deve richiamare anche al fatto che dobbiamo offrire certe dimensioni. Anche qui
mostrare ciò che ho imparato e condividere ciò che ho ricevuto. Questo vuol dire che
quando sono in Africa sono anche animatore e missionario e quando sono qui sono anche
evangelizzatore. In Africa, dovrei chiamare la Chiesa locale a una missione più ampia
e qui dovrei chiamare la Chiesa locale all’evangelizzazione.
D.
- Qual è quindi la vostra sfida per il futuro, il panorama che si va delineando.
R.
- Io credo che la missione ci richiami a una comunione più ampia e a un dovere di
annuncio più ampio che vada oltre i confini di casa nostra. Nello stesso tempo collaborare
con le forze locali.