Il Kurdistan iracheno al voto per le elezioni legislative e presidenziali. Una consultazione
particolarmente importante nel contesto in cui si trova il Paese in ragione delle
ricchezze energetiche della regione, che la rendono crocevia di interessi internazionali.
Le consultazioni legislative vedono contrapposti oltre 500 candidati sparsi in una
ventina di liste in corsa per 111 seggi totali. Undici sono riservati alle minoranze
turcomanna e cristiana e 37 a deputati donne. Dalle previsioni degli analisti a risultare
favoriti sono i candidati dell’alleanza tra il partito dell’attuale presidente regionale
Massud Barzani e la formazione del presidente della Repubblica irachena Talabani.
Stefano Leszczynski ha intervistato don Renato Sacco, di Pax Christi
da poco rientrato dall’Iraq:
R. – Sicuramente
sono elezioni importanti in uno dei posti più “caldi” del mondo perché è una delle
zone più ricche di petrolio. Mi sembra che lo stesso presidente del Kurdistan abbia
detto riferendosi a questa zona di sperare che diventi la nuova Dubai. C'è un boom
economico molto forte. Sono stato nella regione nel mese di giugno e la situazione
è apparentemente di un boom economico con segni visibilissimi nell’edilizia, nelle
strade. I curdi si fanno forti dicendo di essere in grado di garantire la sicurezza.
Molti cristiani, fuggiti da Mossul e da Baghdad, si trovano lì ma è una zona molto
calda perché bisogna decidere il futuro. D. – Il Kurdistan è
un’area dell’Iraq che presenta un po’ un paradosso per il suo carattere semiautonomo.
Una situazione che l’ha resa forse relativamente più tranquilla rispetto alle altre
aree del Paese dal punto di vista della sicurezza ma dove le tensioni, soprattutto
nei confronti delle minoranze, sono molto forti. Sorprende ancora di più perché esercitate
da una parte del Paese che era a sua volta minoranza... R. -
Forse da una parte è un po’ una rivalsa. Loro hanno subito molto con Saddam e adesso
dimostrano di aver alzato la testa, di essere capaci di gestire questo e di proclamarsi
di fatto già autonomi. Credo che ci sia anche un grosso nodo importante: la prospettiva
di balcanizzare l’Iraq, cioè di dividerlo in tre Stati. Molti spingono in questa direzione.
E’ importante ricordare come tutta la Chiesa caldea, ma non solo, spinga perchè l’Iraq
resti unito. Gli appelli che arrivano - l’ ho potuto constatare recandomi in Iraq
- non sono concordanti. Se si va verso una divisione da una parte ci perde la qualità
della convivenza, dall’altra ci perdono le minoranze. Di fronte ad una spartizione
di tre Stati la domanda è: i cristiani dove vivranno? D. – Ricordiamo
che questi cristiani sono a tutti gli effetti iracheni che hanno sempre dato un forte
contributo al Paese... R. - Proprio il patriarca Delly, salutandomi
nel mese di giugno, mi diceva: non chiedermi come stanno i cristiani, chiedimi come
sta la gente dell’Iraq. Perché, di fatto, i cristiani sono iracheni e vivono le fatiche
le sofferenze di tutti gli iracheni. Certo in questi giorni con i vari attentati,
ancora di più, pagano il conto. Credo sia importante, anche da parte dell’Occidente,
guardare verso quella realtà non da un punto di vista distaccato, soffermandosi sul
business economico, sul petrolio e le ricchezze, ma con un’attenzione molto umana.
Come anche il Papa ricordava ai grandi del G8, bisogna mettere le persone al centro
e non gli affari.