Orissa: si costituiscono due maoisti per l'omicidio del leader indù, origine delle
violenze anti-cristiane
A undici mesi di distanza dall’assassinio del leader fondamentalista indù Swami Laxamananda
Swaraswati – avvenuto il 23 agosto 2008 – che aveva scatenato il pogrom anti-cristiano
in Orissa, un’altra coppia di giovani maoisti si è costituita alla polizia confessando
di essere coinvolta nell'omicidio. Si tratta di Surendra Brekedda, 20 anni, e di sua
moglie diciannovenne Jaya Ruppy. Ieri i due giovani, entrambi membri del Partito comunista-maoista,
bandito nel Paese, si sono consegnati agli agenti del distretto meridionale di Rayagada.
Per quell’assassinio dello Swami Laxamananda, i fondamentalisti indù puntarono il
dito contro la comunità cristiana, perpetrando omicidi, stupri e violenze di ogni
tipo. I maoisti avevano intimato allo Swami di fermare la “campagna di scontri sociali”
e di “tensione”, alimentata nel distretto; egli è stato ucciso perché “non ha voluto
seguire l’avvertimento”. Il fatto è stato confermato dallo stesso leader dei maoisti,
Sabyasachi Panda, che fin dall’ottobre 2008 ha ammesso le “responsabilità del movimento”
nella morte dell’estremista indù. Sajan K George, presidente di Global council of
Indian Christians (Gcic), spiega ad AsiaNews che “il regno del terrore, dopo 11 mesi,
continua nella regione, con i protagonisti delle violenze che lanciano ancora oggi
minacce di morte ai testimoni”. “La realtà a Kandhamal – prosegue l’attivista cristiano
– rivela il tentativo di un segmento della società di promuovere divisioni politiche,
a discapito dell’armonia e della convivenza pacifica in Orissa”. Il presidente di
Gcic, insieme ad altre organizzazioni a tutela dei diritti umani, invita i leader
fondamentalisti indù a smetterla di lanciare “false accuse” sul coinvolgimento dei
cristiani nella morte dello Swami. “I cristiani sono una minoranza microscopica –
prosegue – e credono nella pace e nello sviluppo di un sistema per il bene di tutta
la comunità. Di oltre 750 fascicoli di indagine aperti da diversi distretti di polizia
a Kandhamal e Gajapati, solo uno si è concluso con la condanna e gli estremisti minacciano
di uccidere i testimoni”. Per questo il Gcic lancia un appello a tutte le componenti
della società perché diano “una possibilità alla pace” e trasformino “l’Orissa in
uno Stato prospero, dove nessuno soffra la fame”. Dall’agosto 2008 sino al febbraio
scorso, le violenze contro i cristiani in Orissa hanno distrutto 315 villaggi, 4640
case, 252 chiese e 13 scuole. Le persone rimaste uccise sono 120, ma alcune cifre
governative parlano di 500 morti; tra essi 10 religiosi. (R.P.)