Mons. Migliore: la comunità internazionale protegga le popolazioni colpite da gravi
violazioni dei diritti umani
La comunità internazionale ha la responsabilità, attraverso le Nazioni Unite, di proteggere
le popolazioni degli Stati teatro di gravi e sistematiche violazioni dei diritti umani:
su questa tematica è incentrato il dibattito previsto oggi e domani all’Onu. Sul significato
di questo incontro Amedeo Lomonaco ha intervistato mons. Celestino Migliore,
osservatore permanente della Santa Sede presso le Nazioni Unite:
R. – Il dibattito
interviene soprattutto dopo episodi di mancata protezione delle popolazioni verificatisi
nell’arco di un anno in Georgia, Ossezia, Repubblica Democratica del Congo e Sri Lanka.
La responsabilità di proteggere è diventata ormai un principio del diritto internazionale,
ma alla prova dei fatti – quelli appena citati – non sembra aver prodotto ancora precise
norme di condotta internazionale in materia.
D. –
Si parla di sicurezza umana, d’intervento umanitario, di responsabilità di proteggere.
C’è un’evoluzione, una differenza tra questi concetti?
R.
– Sin dallo smantellamento dei regimi comunisti in Europa, il concetto di sicurezza
mondiale si è gradualmente spostato dalle tradizionali preoccupazioni geopolitiche
e strategiche verso nuove preoccupazioni aventi per oggetto l’individuo e la società.
Sono così affiorati i concetti di sicurezza umana, d’intervento umanitario e di responsabilità
di proteggere collegati da un comun denominatore: quello della protezione, che ha
però una diversa valenza, umanitaria e giuridica. La responsabilità di proteggere
va al di là della protezione dei civili in guerra, contemplata nel diritto internazionale
umanitario. Tale responsabilità riguarda primariamente le popolazioni alle prese con
atrocità di massa – quali il genocidio, crimini di guerra e crimini contro l’umanità
– e proteggere i cittadini da queste tipologie di crimini spetta in primo luogo ai
singoli Stati. Qualora un determinato Stato non dimostrasse la volontà e/o la capacità
di assicurare tale protezione, la comunità internazionale deve sussidiariamente farsene
carico, percorrendo le modalità pacifiche predisposte dal diritto internazionale.
In casi estremi, poi, può avvalersi dell’uso della forza attraverso forme e dettami
del capitolo 7 della carta dell’Onu.
D. – Oggi, poi,
si parla sempre più spesso anche di “guerra di scelta” e di “guerra di necessità”…
R.
– Queste sono le categorie che prendono piede nel discorrere sull’uso della forza
per assicurare il rispetto dei diritti dell’uomo, ovvero sull’uso della forza intrapresa
come scelta tra altre opzioni percorribili o come risposta necessaria, obbligata,
che non ammette alternative. La terminologia suona un po’ troppo pragmatica, quasi
cinica: la categoria della responsabilità di proteggere è ben più umana e si muove
in un quadro valoriale molto più rassicurante. L’uso della forza non dovrebbe mai
essere considerato al di fuori della primaria responsabilità dei governanti di assicurare
la protezione di ogni loro cittadino.
D. – Il documento
di lavoro è preparato dal presidente dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite e
per questo dibattito dedica anche un paragrafo al discorso che il Papa ha tenuto all’Onu
nel 2008. Il Santo Padre come ha affrontato, in quell’occasione, il tema della responsabilità
di proteggere?
R. – La prospettiva nella quale si
è posto il Papa nei suoi interventi all’Onu è essenzialmente quella del rapporto sovranità-responsabilità:
la responsabilità di proteggere – ha detto il Papa - è la base morale per il diritto
di un governo ad esercitare l’autorità. La sovranità, vista nell’ottica della protezione,
ha aggiunto il Papa, esplicita meglio la duplice responsabilità che incombe su ogni
Stato: la responsabilità esterna di rispettare la sovranità degli altri Stati ed una
interna di garantire la dignità e i diritti di tutti gli individui nello Stato. Il
rispetto della sovranità degli altri Stati – ha affermato Benedetto XVI - non consiste
solo nel principio della non ingerenza ma, in positivo, rientra anche nel contesto
delle categorie politiche della sussidiarietà, solidarietà e fraternità. E questa
– ha spiegato - è anche una caratteristica che, per natura, appartiene alla famiglia,
dove i membri più forti si prendono cura di quelli più deboli. L’Onu, sorvegliando
in quale misura i governi corrispondono alla loro responsabilità di proteggere i loro
cittadini, esercita quindi un servizio importante in nome della comunità internazionale.