2009-07-19 11:02:24

Lo storico Andrea Riccardi sulla crisi in Honduras: non c'è alternativa al dialogo


E’ in programma per oggi, a San José, la ripresa dei colloqui tra i rappresentanti del presidente deposto dell'Honduras, Manuel Zelaya, e di quello de facto, Roberto Micheletti, dopo la presentazione di un piano in sette punti da parte del capo dello stato del Costa Rica e mediatore nella crisi honduregna, Oscar Arias. Un piano nella sostanza accettato da Zelaya ma respinto da Micheletti, il quale ne ritiene non negoziabile il punto-chiave: ovvero, il ritorno al potere del presidente deposto dal golpe del 28 giugno scorso. Sulla vicenda, la collega Patricia Ynestroza, della redazione spagnola della nostra emittente, ha sentito il parere dello storico Andrea Riccardi, fondatore della Comunità di Sant’Egidio, che è presente con alcune strutture in Honduras ed è esperta di negoziati di pace, come dimostrano i successi ottenuti in passato nelle crisi in Mozambico e Guatemala:RealAudioMP3

R. - L’Honduras è un Paese che ha diritto ad un futuro migliore per tutta la sua gente. Io penso che la risposta alla situazione in Honduras non debba essere la contrapposizione, perché la contrapposizione porta sempre alla violenza, perché chi semina odio raccoglie tempesta. Bisogna che tutte le parti siano prudenti, abbiano la capacità anche di rinunciare a qualcosa attraverso il dialogo: con il dialogo niente è perduto! E bisogna costruire il vero dialogo! Il presidente Arias, che è un uomo che ho incontrato recentemente in Salvador, è un uomo di grande livello, io credo stia facendo un lavoro meraviglioso: bisogna favorire il dialogo in tutti i modi. Ma non un dialogo tra sordi, non il dialogo di chi vuole avere ragione, ma un dialogo vero. E la società deve dialogare. Quuelli che hanno posizioni diverse, si debbono incontrare e non si debbono contrapporre, perché riprenda a funzionare il meccanismo democratico in Honduras. E poi, saranno gli honduregni attraverso delle elezioni libere, chiare e pulite - "free and fair" - a dire chi vogliono che li governi. Allora: il dialogo, non per rimettere una pecetta, non per rimettere una toppa sulla situazione, ma il dialogo per andare poi alle elezioni democratiche e ristabilire il funzionamento della democrazia.
 
D. - Questa situazione sta creando unità tra classi politiche e sociali e confessioni religiose: tutti insieme per la pace. Ma d’altro canto, sta deludendo il popolo e stanno nascendo atteggiamenti egoistici: come si può ottenere un cambio di atteggiamento orientato alla solidarietà, in questi momenti?
 
R. - La gente, qualche volta, rischia di nausearsi della politica e allora dice: penso alla mia famiglia, penso ai miei affari, ai miei problemi… E poi, la gente spesso ha la sensazione di non contare niente. Mi hanno detto di questo atteggiamento di alcuni, e io capisco che gli honduregni, davanti alla violenza e alle contrapposizioni, facciano un passo indietro. Ma io penso che questo passo indietro non lo debbano fare solo gli honduregni: lo debbono fare i politici, per favorire il dialogo. Io credo che nell’animo di ogni honduregno ci sia un po’ di rassegnazione, ma ci sia anche una grande voglia di dialogo. Gli honduregni, il popolo, deve imporre il dialogo. Ma ho molta fiducia nel popolo honduregno, che si è sempre dimostrato un popolo forte nel sopportare le difficoltà. Un popolo paziente, ma anche un popolo che vede chiaramente il proprio futuro.







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