Nuove speranze per il Nagorno Karabakh dopo il vertice di Mosca
Prove di dialogo tra Armenia e Azerbaigian sull’irrisolta questione del Nagorno Karabakh,
l'enclave armena in territorio azero, causa di sanguinosi conflitti tra Baku e Erevan.
Grazie alla spinta di alcuni Paesi mediatori - tra cui Russia, Francia e Stati Uniti
- ieri a Mosca si è tenuto un atteso vertice tra il presidente armeno Sarkisian e
quello azero Aliev. Proprio sull’importanza di questa piccola ma strategica enclave
armena, Stefano Leszczynski ha intervistato Alessandro Politi,
Direttore del Osservatorio strategico di Nòmisma:
R. – Tutto
quello che si può negoziare tra questi Paesi e questi territori non ha un’importanza
strategica; l’importanza viene come al solito assegnata da attori esterni e qui la
cosa fondamentale è il passaggio di oleodotti o di gasdotti. D.
– Talvolta il Negorno Karabakh viene descritto come un’enclave cristiana in un ambiente
dominato dai musulmani. E’ un conflitto che può in qualche modo essere ricondotto
a motivi religiosi o, in realtà, è distante da tutto ciò? R.
– Brame di potenza e di politica mettono in mezzo la religione come vessillo da combattimento.
Si tratta di scelte politiche sulla pelle di popoli che possono avere culture e religioni
diverse ma che potrebbero benissimo coesistere. D. – Intorno
al Negorno Karabakh girano anche gli interessi geopolitici e geostrategici dei vicini
e, allo stesso tempo, ci sono i grandi attori internazionali quali la Russia e gli
Stati Uniti che discutono delle sorti di quest’enclave… R. –
L’attore principale, in tutta questa partita, è chiaramente la Russia. Il secondo
attore che ha cercato di cambiare le carte in tavola sono gli Stati Uniti. Qui si
introduce tutta la questione delle linee energetiche. I russi vogliono fare delle
linee di gasdotti e oleodotti che passino attraverso il loro territorio - sfruttando
le reti già esistenti e migliorandole – e invece gli Stati Uniti, da un buon decennio,
vogliono aggirare la Russia.