Il terrorismo riprende a colpire in Indonesia. Stamani a Giacarta un duplice attentato
dinamitardo ha colpito due grandi alberghi, con un bilancio di 9 morti ed almeno 50
feriti. Unanime la condanna internazionale per quanto avvenuto: un duro monito è stato
espresso dalla presidenza di turno svedese dell'Ue. “Un atto di violenza senza senso”,
ha stigmatizzato il segretario di Stato americano, Hillary Clinton, oggi in visita
a Praga. Il duplice atto di terrorismo non è stato ancora rivendicato. Per un’ipotesi
sugli autori di questi episodi Giancarlo La Vella ha raccolto il commento di
Stefano Vecchia, esperto dell’area orientale:
R. – Il pensiero
va immediatamente all’estremismo islamista che, seppure da qualche tempo non ha attuato
delle azioni clamorose, di fatto è certamente attivo e non a caso un rapporto di ieri
dell’Istituto Intelligence australiano prospettava nuovi attentati a breve termine.
D.
– Il neopresidente Yudhoyono ha detto che esistono alcune forze che vogliono destabilizzare
la realtà sociale e politica indonesiana, anche se al momento della sua elezione aveva
parlato di un Paese che aveva praticamente vinto l’emergenza terrorismo. Ci sono dei
legami tra questi episodi e queste dichiarazioni?
R.
– Questo è assolutamente possibile in quanto è stato reso chiaro dalle elezioni politiche
di maggio e dalle presidenziali di pochi giorni fa che l’estremismo islamista e anche
i movimenti politici che si richiamano ad una certa realtà fondamentalista sono in
assoluta minoranza nel Paese. L’Indonesia è in stragrande maggioranza un Paese musulmano,
il più grande al mondo, ma è anche un Paese laico, dove l’uguaglianza e la convivenza
sono assolutamente radicate. Un certo islamismo radicale, che in questi ultimi anni
è in gran parte “alla macchia” o in carcere non accetta il gioco democratico e probabilmente
ha deciso di far sentire nuovamente la propria presenza.
D.
– In Indonesia c’è il terreno ideale perché prenda piede il fondamentalismo?
R.
– Questo rischio c’è e prolifera tra le pieghe di una società di un Paese immenso,
dalle grandi disparità e che vede grosse differenze regionali e grossi contrasti etnici
sui quali, a volte s’innestano anche contrasti religiosi, come per esempio hanno dimostrato
gli scontri tra cristiani e musulmani, per diversi anni, nel Molucche. Questo è il
problema: finché l’Indonesia non avrà raggiunto un’uguaglianza di fatto e un benessere
ben distribuito, il terrorismo potrà sempre trovare delle ragioni per emergere in
modo violento.
D. – Tutto questo condiziona i rapporti
tra Indonesia e comunità internazionale, nel senso che un’Indonesia stabile farebbe
da traino per la pacificazione in tutta l’area orientale...
R.
– Certamente sì, e questo per due ragioni: la prima perché l’Indonesia è un grande
Paese al centro di un’area di grande interesse, è un Paese ricchissimo di risorse
ma è anche, come dicevo, il maggior Paese musulmano al mondo con i suoi 240 milioni
di abitanti. Quindi, un’Indonesia dove l’islam non mostra il suo volto più repressivo,
ma quello più tollerante e democratico, evidentemente può essere di grande esempio
anche per altri Paesi islamici.