Proclami anticristiani nelle violenze in Somalia. Intervista con Mario Mauro
Violenti combattimenti tra insorti e truppe governative hanno interessato oggi il
distretto di Abdal Asis, nell’area nord di Mogadiscio. Impreciso per ora il bilancio
delle vittime: fino a qualche giorno fa, nella sola capitale - in seguito agli scontri
iniziati il 7 maggio - si contavano 350 morti, ma si combatte anche nel centro-sud
del Paese. Dall’Alto commissario Onu per i Diritti umani, è giunta ieri la denuncia
di gravi violazioni alle leggi internazionali umanitarie, di violenze perpetrate a
danno di donne e bambini, in particolare con proclami anticristiani. Maggiori responsabili
sarebbero i fondamentalisti islamici del gruppo degli Shabaab, secondo gli Usa legati
ad al Qaeda. L’Unione Europea condanna l'escalation di violenza e spinge per
la ripresa del processo di pace di Gibuti, ''che altrimenti rischia di scomparire''.
In particolare, il vicepresidente dell’Europarlamento, Mario Mauro, nell’intervista
di Fausta Speranza, parla di un disegno di persecuzione:
R. - Innanzitutto,
rientrano nella strategia - che è un vero e proprio progetto di potere - della rete
di Al Qaeda a farsi Stato anzi, secondo la ideologia qaedista, a farsi in qualche
modo "califfato" di una crisi islamista e quindi a creare delle zone franche in cui
non valga l’autorevolezza della comunità internazionale, ma il diktat dei terroristi.
Questo è un fatto di una pericolosità enorme, perché passa attraverso una strategia
che cerca di annientare l’uomo che ha una fede diversa da quella che si possiede,
che ha diverse convinzioni. Ma ancor più, tutto ciò è strumentale, perché attraverso
questa logica si attua invece la prepotenza di reti che non sono differenti dalle
nostre reti mafiose. D. - Vicepresidente, lei ha parlato proprio
di ipotesi di un’ingerenza umanitaria. Che cosa intende e che cosa aspettarsi? R.
- Intendo un intervento in armi della comunità internazionale che sia capace di riportare
su quel territorio i dettami minimi di rispetto dei diritti umani e soprattutto convinca
gli Stati africani, attraverso l’Unione Africana, ad assumersi una responsabilità.
Perché un’Africa preda del fondamentalismo è la più grande disgrazia che possa capitare
al ventunesimo secolo. D. - Le più recenti violenze in Somalia
in realtà, purtroppo, fanno eco a tante altre simili violazioni della persona, della
vita, in altre zone del mondo. Rimanendo in Somalia, esse rispecchiano la precarietà
somala, mentre il potere degli estremisti islamici è cresciuto a dismisura. La situazione
è sfuggita di mano alla comunità internazionale, in questo caso? R.
- Sì, noi abbiamo responsabilità gravissime nei confronti di un Paese come la Somalia
che, non dimentichiamo, abbiamo cercato di ricondurre a un equilibrio sensato e poi
abbiamo vergognosamente abbandonato nel momento del bisogno. Questo si è tradotto
in una instabilità che ha fatto comodo a tantissimi, perché destabilizzare quell’area
vuol dire destabilizzare un’area in cui è basilare la geostrategicità dei luoghi:
pensiamo al controllo del passaggio verso il Mar Rosso, all’interlocuzione con i fenomeni
di portata mondiale che avvengono nel Golfo, punto di riferimento del Corno d’Africa
e più in basso dei Grandi Laghi. Tutto ciò significa, in qualche modo, mantenere innescata
una polveriera che finisce per avere ripercussioni sugli equilibri non solo del continente
africano, ma di quella stranissima partita a "scacchi" che da moltissimi anni si combatte
prendendo in ostaggio l’Africa e a dispetto dell’Africa stessa. Più che di una comunità
internazionale che si è distratta, parlerei di intrecci nella comunità internazionale
che hanno gravissime conseguenze per la vita della gente di quest’area. E le ripercussioni
di queste logiche geostrategiche finiscono per essere poi scontate dagli ultimi poveri
e, tra questi, gli ultimi degli ultimi, che in questo caso sono i cristiani.