La Congregazione per la Dottrina della Fede sul caso della bambina brasiliana: ogni
aborto viola il sacro diritto alla vita di ogni essere umano
Privare un essere umano del diritto “inalienabile” alla vita o all’integrità fisica
è contrario alla legge naturale. L’aborto, in quanto “soppressione deliberata di un
essere umano innocente”, è e resta per la Chiesa un “atto gravemente contrario alla
legge morale”. Sono le affermazioni contenute in una “Chiarificazione” della Congregazione
per la Dottrina della fede, che è intervenuta sul caso della bambina brasiliana sottoposta
ad aborto di due gemelli e soprattutto in reazione alle polemiche sorte dopo la pubblicazione
sull’Osservatore Romano del 15 marzo scorso di un articolo dell’arcivescovo Rino Fisichella,
presidente per la Pontificia Accademia per la Vita, che ribadiva i principi della
Chiesa in materia, insieme con la solidarietà verso la giovane. Il servizio di Alessandro
De Carolis:
“Manipolazione
e strumentalizzazione”. E’ recisa la nota del dicastero vaticano nello stigmatizzare
la “confusione” generatasi sulla “triste vicenda” di Carmen, la piccola brasiliana
rimasta incinta a nove anni di due gemelli in seguito alle ripetute violenze subite
dal patrigno e sottoposta ad aborto. Ad essere strumentalizzato, spiega la nota pubblicata
sull'Osservatore Romano di oggi, è stato l’articolo di mons. Fisichella nel quale
quattro mesi fa veniva ribadita la dottrina della Chiesa in tema di aborto assieme
alla partecipazione per il dramma patito dalla bambina: partecipazione - sottolinea
la nota - testimoniata anche dalla “delicatezza pastorale” con la quale la bambina
è stata “accompagnata” dall’arcivescovo di Olinda e Recife, José Cardoso Sobrinho.
“La Congregazione per la Dottrina della Fede - si
legge nella Chiarificazione - ribadisce che la dottrina della Chiesa sull’aborto provocato
non è cambiata né può cambiare”, come d'altro canto asserisce il Catechismo della
Chiesa Cattolica, secondo il quale “la vita umana deve essere rispettata e protetta
in modo assoluto fin dal momento del concepimento”. Del resto, si rileva, “fin dal
primo secolo la Chiesa ha dichiarato la malizia morale di ogni aborto provocato. Questo
insegnamento non è mutato. Rimane invariabile. L’aborto diretto, cioè voluto come
un fine o come un mezzo, è gravemente contrario alla legge morale”. La nota - che
cita numerosi punti del magistero ecclesiale e pontificio, dal Vaticano II all’Evangeliem
Vitae - ricorda che per la Chiesa anche la “la cooperazione formale a un aborto
costituisce una colpa grave” e chi lo procura, “se consegue l’effetto, incorre nella
scomunica latae sententiae”. Con questo, assicura la Congregazione per la Dottrina
della Fede, la Chiesa non intende “restringere il campo della misericordia. Essa mette
in evidenza la gravità del crimine commesso, il danno irreparabile causato all’innocente
ucciso, ai suoi genitori e a tutta la società”.
La
Chiarificazione affronta poi la questione dell’aborto “procurato in situazioni difficili
e complesse”, citando l’insegnamento di Giovanni Paolo II. “E’ vero - si afferma nell’Evangelium
Vitae - che molte volte la scelta abortiva riveste per la madre carattere drammatico
e doloroso, in quanto la decisione di disfarsi del frutto del concepimento non viene
presa per ragioni puramente egoistiche e di comodo, ma perché si vorrebbero salvaguardare
alcuni importanti beni, quali la propria salute o un livello dignitoso di vita per
gli altri membri della famiglia (...) Tuttavia, queste e altre simili ragioni, per
quanto gravi e drammatiche, non possono mai giustificare la soppressione deliberata
di un essere umano innocente”. Né lo può il cosiddetto “aborto terapeutico”, che provocando
la morte diretta del feto si configura - ripete la nota del dicastero pontificio -
come un atto “illecito”. Diverso la possibilità di un “un intervento in sé
non abortivo, a salvaguardia della salute materna, che può avere, come conseguenza
collaterale, la morte del figlio”: in questo caso - si afferma sulla base di un insegnamento
di Pio XII - “non potrebbe più dirsi un diretto attentato alla vita innocente”.
Sul
ruolo dei medici in questi casi, il documento mette nuovamente in luce l’“intrinseca
e imprescindibile dimensione etica della professione sanitaria, come già riconosceva
l'antico e sempre attuale giuramento di Ippocrate, secondo il quale ad ogni medico
è chiesto di impegnarsi per il rispetto assoluto della vita umana e della sua sacralità”.