Pio XII e la Shoah tra i temi di dibattito al primo Seminario internazionale di storici
sull’Olocausto. Intervista con don Giovanni Caputa
Le radici filosofiche, la condizioni di vita nei ghetti, il ruolo di Papa Pio XII
e della Chiesa negli anni della Seconda Guerra mondiale sono stati al centro del Seminario
internazionale di formazione per docenti sulla Shoah. Al seminario - tenutosi dal
28 giugno all’8 luglio scorso - è intervenuto anche don Giovanni Caputa, segretario
della delegazione vaticana nella Commissione bilaterale di negoziati tra Santa Sede
e Stato di Israele, intervistato da Amedeo Lomonaco: R. - Questo
è il primo Seminario internazionale per professori di storia contemporanea che la
Scuola internazionale di studi per l’Olocausto ha organizzato a Gerusalemme. Naturalmente,
durante il seminario sono stati presi in esame tutti gli aspetti dell’Olocausto, sullo
sfondo di un amplissimo excursus dedicato alla storia dell’antisemitismo. Sono stati
esplorati vari campi interconnessi tra loro: le radici filosofiche dell’antisemitismo,
le condizioni di vita nei ghetti, la resistenza morale ed armata, gli esperimenti
medici. Ampio spazio è stata anche dedicato a Papa Pio XII. D.
- Qual è stato il ruolo della Chiesa cattolica e di Papa Pio XII durante gli anni
drammatici della Seconda Guerra mondiale? R. - Ho messo di fronte
agli uditori una lista d’interventi di Papa Pacelli. Da tutta questa documentazione,
risulta che gli interventi di Pio XII sono stati numerosi, espliciti e intesi in maniera
diretta da coloro che dovevano intenderli. I nazisti reagivano in maniera seccata,
nervosa a queste prese di posizione di Pio XII. C’è anche la testimonianza molto
importante di Albert Einstein, che nel 1940 afferma: “Soltanto la Chiesa cattolica
si era chiaramente pronunciata e aveva cercato di sbarrare il sentiero a Hitler. Sono
obbligato a confessare che quello che fino ad adesso disprezzavo, ora ho iniziato
ad ammirare senza riserve”. D. - Questi documenti, queste importanti
testimonianze ed anche la recente visita del Papa in Israele possono portare ad una
nuova valutazione da parte di storici ebraici sul Pontificato di Pio XII, sul suo
impegno in favore delle vittime dell'Olocausto? R. - Ci vorrà
del tempo, perché “spezzare l’atomo”, diceva Einstein, “è più facile che spezzare
un pregiudizio”. La storia, però, alla fine, farà risaltare la grandezza di Pio XII
e di tutti coloro che hanno collaborato con lui, seguendo le sue direttive, in maniera
evidentemente segreta. Era chiaro che non si potesse riferire ai quattro venti tutto
quello che si stava facendo. D. - Un altro capitolo è quello
dei possibili risvolti diplomatici tra Santa Sede e Stato ebraico. Dai primi anni
Novanta, Santa Sede e Israele hanno avviato trattative per stabilire un tipo di “Concordato
a tappe”. Verso quale meta si procede? R. - L’obiettivo finale
è quello di stabilizzare la situazione della Chiesa cattolica in Terra Santa, che
fino al 1992 non aveva neanche un riconoscimento legale. Evidentemente, come tutti
comprendono, questo è un terreno talmente complesso e complicato che non è facile
procedere.