2009-07-09 15:51:56

Clonati spermatozoi da cellule staminali: interrogativi etici sulla ricerca genetica mossa soprattutto da interessi economici


La notizia è rimbalzata oggi sulla stampa quotidiana: un gruppo di ricercatori britannici dell’Università di Newcastle sarebbe riuscito a clonare degli spermatozoi partendo da cellule staminali embrionali. L’evento ha subito sollevato oltre che dubbi di veridicità soprattutto interrogativi di natura etica. Roberta Gisotti ha intervistato il prof. Bruno Dallapiccola, ordinario di Genetica all’Università “La Sapienza” di Roma e membro del Comitato nazionale di bioetica.RealAudioMP3

D. - Professore, può essere credibile questa incredibile notizia, come dire la creazione dell’uomo in laboratorio?
 
R. - La ritengo credibile perché la rivista che ha riportato questa notizia è specializzata nella ricerca sulle cellule staminali e, quindi, ritengo che questo dato sia in linea con qualcosa che da almeno cinque anni viene fatto, utilizzando soprattutto modelli animali, perché esperimenti sul topo e anche sul maiale - addirittura si dice dalla pelle del maiale - avevano dimostrato già negli anni passati che era possibile, con stimoli particolari, trasformare queste cellule, riprogrammarle, e orientarle in gameti maschili. La domanda che oggi mi faccio è: quali garanzie - e penso che ne abbiamo in questo momento molto poche - abbiamo per dimostrare che questo genoma, che è contenuto in questi gameti artificiali, sia un genoma adatto a partecipare ad una fecondazione umana?
 
D. - Ecco, professore, falso o non falso, il risultato di questa ricerca, gli scienziati britannici hanno dichiarato di non puntare alla creazione di vite umane ma piuttosto ad aiutare i medici a meglio comprendere l’infertilità maschile. Ma si può giustificare una ricerca così rischiosa per un obiettivo, tutto sommato, molto limitato, che riguarda una piccolissima parte dell’umanità?
 
R. – Tutta la ricerca che passa attraverso queste cellule è una ricerca che prioritariamente è finalizzata a cercare di capire, perché di terapeutico - noi sappiamo - non è venuto ancora fuori niente dopo più di dieci anni di sperimentazione. Allora, è chiaro che se lei mi fa la domanda: è eticamente corretto distruggere un embrione umano per fare una ricerca finalizzata a capire? La mia risposta personale da ricercatore, da genetista, e da Bruno Dallapiccola che fa il medico, è tassativamente no. Non dimentichiamoci che dietro questo ci sono dei grandi interessi economici per la risoluzione, se questo dovesse funzionare, di problemi di infertilità maschile.
 
D. - Professor Dallapiccola, da persone comuni si capisce che dietro queste ricerche ci siano interessi economici, ma ci si chiede pure perché questi interessi economici non siano convogliati su altri tipi di ricerche che possano beneficiare - per motivazioni anche più serie - una parte più consistente di umanità?
 
R. - Questo è vero, però - questo glielo dico da medico che dialoga quotidianamente con le coppie – tenga presente che quel 15 per cento di coppie che abbiamo ormai nei Paesi cosiddetti sviluppati, quindi anche in Italia, che hanno dei problemi di infertilità sono coppie che raggiungono il livello della disperazione. Rispetto ad anni passati dove probabilmente c’era maggiore rassegnazione di fronte a dei limiti che ogni tanto pone la natura, io vedo che le coppie fanno delle cose impossibili pur di raggiungere un obiettivo che spesso non si riesce a raggiungere. Anch’io metterei sul piano dei valori delle cose più importanti dove le risorse sono poche; però le posso dire per esperienza personale che l’infertilità di coppia viene vissuta come una tragedia dalle coppie che hanno questo tipo di problema. Non c’è dubbio che il mondo della ricerca, il mondo del commercio, in particolare, che c’è dietro a questo tipo di ricerche, è molto stimolato da questa domanda che c’è e viene fuori da queste persone.
 
D. - Quindi è anche un discorso di cultura, dell’ottenere qualunque cosa a qualunque costo…
 
R . – Non c’è dubbio che sia un problema di cultura. L’abuso che viene fatto oggi di certi iter genetici è perché non c’è più la cultura dell’accettazione di un bambino che può nascere con delle disabilità minime o medie, nel senso che oggi il profilo che si cerca è il profilo del soggetto perfetto; non c’è più una cultura che dice che ci possono essere dei limiti e si può costruire una vita meravigliosa vivendo col limite che ti ha dato la natura, in questo caso un limite riproduttivo. Purtroppo l’investimento della cultura è un investimento che invece dovrebbe essere tutto ridisegnato in questo mondo.







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