In attesa della "Caritas in veritate" di Benedetto XVI: cenni sulla "Populorum Progressio"
di Paolo VI, Enciclica ispiratrice del prosimo documento del Papa
Mancano tre giorni alla pubblicazione dell'Enciclica di Benedetto XVI Caritas in
veritate. Lo stesso Pontefice ha affermato che una delle sorgenti ispiratrici
di questo atto nuovo atto del suo magistero va rintracciata nell'Enciclica sociale
di Paolo VI Populorum Progressio. Isabella Piro ne traccia di seguito
una scheda riassuntiva :
La sollecitudine di Paolo VI ai problema socio – economico
è evidente già nei suoi viaggi in India, nelle Nazioni Unite, nell’America Latina,
a Ginevra, in Africa e in Australia. Prova di questo suo impegno è indubbiamente l’istituzione
nel gennaio 1967 della Commissione pontificia Iustitia et Pax. Divisa in tre
parti (introduzione, “corpus” e appello finale), l’enciclica è datata 26 marzo 1967
ed è diretta non solo ai vescovi, ma anche “a tutti gli uomini di buona volontà”.
Nell’introduzione, Papa Montini afferma testualmente che “ oggi, il fatto di maggior
rilievo del quale ognuno deve prendere coscienza, è che la questione sociale ha acquistato
dimensione mondiale” (n.3). Il Papa espone i dati del problema Il
ruolo delle potenze colonizzatrici che, “pur avendo portato la loro scienza e la loro
tecnica, lasciando testimonianze preziose della loro presenza”, tuttavia “hanno spesso
avuto di mira soltanto il loro interesse, la loro potenza o il loro prestigio e che
il loro ritiro ha lasciato talvolta una situazione economica vulnerabile, legata per
esempio al rendimento di un’unica cultura, i cui corsi sono soggetti a brusche e ampie
variazioni” (n.7).
La disillusione pubblicizzata da “messianismi carichi di
promesse, ma fabbricatori di illusioni” (n.11) Il Papa enuncia il
principio base del vero sviluppo in senso cristiano: “Lo sviluppo non si riduce
alla semplice crescita economica. Per essere autentico, deve essere integrale, il
che vuol dire volto alla promozione di ogni uomo e di tutto l’uomo” (n.14). Si
accenna all’opera dei missionari, ai rapporti tra Chiesa e mondo, ai doveri per una
crescita umana, personale e comunitaria, infine a una scala dei valori (nn. 12-18)
prima fra tutte la destinazione universale del beni, in quanto” (…) se la terra è
fatta per fornire a ciascuno i mezzi della sua sussistenza e gli strumenti del suo
progresso, ogni uomo ha dunque il diritto di trovarvi ciò che gli è necessario. (n.
22).
Tre principi ne conseguono: il valore della proprietà privata: “La
terra è data a tutti, e non solamente ai ricchi”(n.23); la condanna a tutto ciò
che può impedire la prosperità collettiva: “il reddito disponibile non è lasciato
al libero capriccio degli uomini, le speculazioni egoiste devono essere bandite” (n.
25) riforme audaci (nn. 30-32) con proposte concrete quali l’alfabetizzazione (nn.
34-35), difesa della famiglia “naturale, monogamica e stabile” (n. 36), regolamentazione
dello sviluppo demografico tramite misure rispettose della morale e della libertà
religiosa (n. 37), funzione educativa delle organizzazioni professionali (n.38), legittimità
del pluralismo delle organizzazioni professionali e sindacali, purché rispettino orientamento
religioso, dignità e libertà dell’uomo (n.39), importanza delle istituzioni culturali
(n.40), eliminazione delle tentazioni materialistiche per i popoli poveri (n.40) Il
Papa ribadisce il principio dello sviluppo solidale dell’umanità Viene quindi
ripresa l’idea del fondo mondiale, già lanciata dallo stesso Pontefice a Bombay: “Ciò
che vale per la lotta immediata contro la miseria vale altresì per il livello dello
sviluppo. Solo una collaborazione mondiale, della quale un fondo comune sarebbe insieme
l’espressione e lo strumento, permetterebbe di superare le rivalità sterili e di suscitare
un dialogo fecondo e pacifico tra tutti i popoli” (n.51). Ribadita anche la necessità
della lotta contro la fame, della distribuzione del surplus dei Paesi ricchi ai Paesi
poveri, dell’equità nelle relazioni commerciali, della giustizia nei contratti e dell’equità
nelle convenzioni internazionali. Il Papa ricorda due ostacoli da superare: nazionalismo
e razzismo e richiama i doveri connessi con l’ospitalità, secondo il principio della
“carità universale”.
Appello finale I destinatari sono: cattolici,
cristiani e credenti, uomini di buona volontà, uomini di Stato, uomini pensiero, tutti
chiamati all’opera, perché “lo sviluppo è il nuovo nome della pace”.
“Tutti
sappiamo che un elemento fondamentale della crisi è proprio un deficit di etica nelle
strutture economiche” aveva detto Benedetto XVI il 19 marzo scorso mentre era in viaggio
verso l’Africa. In quell’occasione il Papa aveva manifestato la speranza che la sua
prossima enciclica sociale potesse essere un elemento per superare la difficile situazione
dell’economia globale. Ma la ‘Caritas in veritate’, che sarà pubblicata martedì prossimo
7 luglio, va in realtà ad inserirsi in una lunga tradizione di documenti della Chiesa
cattolica dedicati ai temi economici e sociali. All’indomani del crollo del Muro di
Berlino la ‘Centesimus annus’ di Giovanni Paolo II aveva individuato le debolezze
dell’economie socialiste. Oggi quale modello di economia di mercato presta di più
il fianco alle critiche della dottrina sociale della Chiesa? Fabio Colagrande
lo ha chiesto a Stefano Zamagni, professore di Economia. Politica all’università
di Bologna e consultore Pontificio Consiglio Giustizia e Pace.
R. – Il punto
che probabilmente questa nuova enciclica andrà a chiarire – spero definitivamente
– è superare quella confusione di pensiero che identifica l’economia di mercato con
una sua particolare specie, che è l’economia di mercato capitalistico. Si dimentica
che ci sono i mercati capitalistici – quelli legati alla logica del profitto – e ci
sono i mercati civili, cioè i mercati che tendono ad includere tutti, anche i meno
capaci, quelli che soffrono di diverse forme di handicap e così via. Quello che occorre
chiarire è che la crisi di una particolare versione di economie di mercato – chiamiamola
la versione capitalistica – non vuol dire la crisi dell’economia di mercato in quanto
tale. In altre parole, la dottrina sociale della Chiesa non ha mai parlato contro,
ha parlato oltre: rileva cioè che dopo la crisi del modello sovietico l’economia di
mercato capitalistica non ah mantenuto le promesse e non è in grado di risolvere tutta
una serie di problemi – che sono ormai quelli sulla bocca di tutti -. L’indicazione
che quindi emerge è di “civilizzare il mercato”, cioè fare in modo che dentro l’agire
economico torni a spirare il vento del principio di gratuità del dono e di reciprocità.
Ma deve entrare dentro e non a latere, non con il no profit, cioè dire: seguo la logica
del profitto e a fine settimana poi, in senso metaforico, mi metto a fare la filantropia.
Questo modello, oggi, è in crisi irreversibile.
D.
– Passando al piano operativo, a distanza di 40 anni dall’enciclica di Paolo VI i
ritardi dei Paesi in via di sviluppo hanno assunto aspetti drammatici; mancano dunque
nuove regole efficaci per impedire questa situazione di disuguaglianza o manca un’organizzazione
mondiale che sappia far rispettare le regole che già ci sono?
R.
– L’uno e l’altro. Però, dei due punti, il più importante è il secondo. Abbiamo bisogno
di una governance globale ma di tipo sussidiario, perché l’idea di avere una governante
governata da una sorta di super Stato sarebbe veramente un disastro per tutta una
serie di ragioni – soprattutto per chi ha a cuore un valore come quello di libertà
e così via -. Abbiamo bisogno di una governante sussidiaria, ossia di un disegno istituzionale
che tenda ad affrontare le nuove sfide che esistevano 60 anni fa, all’epoca di Bretton
Woods, nel 1944. Come allora i capi di Stato e di governo trovarono il coraggio e
la saggezza politica di darsi una regolata, oggi bisogna fare un’operazione analoga;
ovviamente, i problemi sono magnificati, però abbiamo anche a disposizione più risorse,
a condizione che questa governance sia di tipo sussidiario, evitando la creazione
di neostatalismi o di superstatalismi che sarebbero letteralmente un disastro.