La pace in Medio Oriente tra diplomazia ed emergenza umanitaria, come per i palestinesi
di Gaza. Intervista con Ianiki Cingoli
Durante la recente udienza ai membri della Roaco - la Riunione delle Opere in Aiuto
delle Chiese Orientali - Benedetto XVI si è soffermato sulla situazione nella Striscia
di Gaza chiedendo sia affrontata con “competenza e solidarietà”. Un problema sottolineato
anche dal Comitato internazionale della Croce Rossa, che nel suo ultimo rapporto ha
parlato di un milione e mezzo di palestinesi vittime della povertà. Per un’analisi
sulla situazione a Gaza, Linda Giannattasio ha chiesto un parere a Ianiki
Cingoli, direttore del Centro italiano per la pace in Medio Oriente:
R. - Dopo
la fine della guerra a Gaza, tra la fine dell’anno scorso e l’inizio di gennaio, la
situazione è rimasta paralizzata. Manca l’afflusso di beni anche di prima necessità
e la cosa grave è, soprattutto, che gli israeliani impediscono l’afflusso di cemento
e di acciaio, necessario per la ricostruzione delle oltre seimila abitazioni distrutte
con la guerra. Questo perché affermano che Hamas potrebbe utilizzare tali materiali
per costruire rifugi contro l’esercito israeliano. D. - Parallelamente
all’emergenza umanitaria, a che punto è il dialogo israelo-palestinese? R.
- Proprio negli ultimi giorni, sono emerse notizie di una trattativa chiamata sui
giornali israeliani “il grande accordo”, nella quale si parla della possibilità di
un'intesa per la restituzione del soldato Shalit - rapito circa tre anni fa - in cambio
di qualche centinaio di prigionieri palestinesi, ma anche del consolidamento del cessate-il-fuoco
dichiarato da tutte e due le parti, una a gennaio, e della riapertura dei valichi
con una presenza di una forza internazionale a Gaza. Si parla pure di un aumentato
controllo da parte egiziana e internazionale per evitare il traffico di armi. Quindi,
un accordo di questo tipo andrebbe, in qualche modo, nel direzione di una stabilizzazione
della presa di Hamas su Gaza. Su questo ci sono però anche i colloqui in corso tra
Fatah e Hamas per arrivare alla costituzione di un governo unità nazionale. In sostanza,
c’è molto movimento in questa fase. D. - A margine del G8, il
quartetto del Medio Oriente ha chiesto al governo israeliano di congelare tutti gli
insediamenti perché la situazione a Gaza è insostenibile… R.
- Il contenzioso in questo momento è su quello che Netanyahu chiama la cosiddetta
“crescita naturale degli insediamenti esistenti”. Ora, Netanyahu sta cercando di negoziare,
con Barak che domani volerà negli Stati Uniti per parlare con Mitchell, il delegato
di Obama per il Medio Oriente, per cercare di sfruttare al massimo l’attenzione ottenuta
col suo intervento sulla disponibilità ai due Stati per ottenere un’attenuazione della
pressione degli Stati Uniti rispetto a questo specifico problema. D.
- Di cosa c’è più bisogno nella Striscia di Gaza? Cosa può fare la comunità internazionale? R.
- C’è bisogno di beni di prima necessità, di consumo. Ma c’è bisogno soprattutto di
un’iniziativa politica più forte, dell’Europa che - più di quanto stanno facendo gli
Stati Uniti - sostenga l'opera mirata a sbloccare la situazione e a imporre la ripresa
del processo di pace.