Il cardinale Rodè di ritorno dalla Bosnia: Paese balcanico a rischio islamizzazione
In Bosnia è in corso un processo di islamizzazione: è quanto sottolinea il cardinale
Franc Rodé, di ritorno da un viaggio nel Paese Balcanico, svoltosi dal 19 al 21
giugno scorsi. Il prefetto della Congregazione per gli Istituti di Vita Consacrata
e le Società di Vita Apostolica è stato in visita nell’arcidiocesi di Sarajevo su
invito del cardinale Vinko Puljić e nella diocesi di Banja Luka, invitato da mons.
Franjo Komarica. Ai microfoni di Olivier Bonnel, della nostra redazione francese,
il cardinale Rodé si sofferma sulla condizione dei cattolici in Bosnia:
R. – Numericamente
sono molto diminuiti. Per esempio, nella diocesi di Banja Luka, prima della guerra
del ’91-’95, i cattolici erano 150 mila, oggi arrivano a 35 mila. La maggior parte
di loro è partita perché le loro case sono state bruciate, anche per la pressione,
per la paura di perdere persino la vita. Tanti cattolici sono fuggiti andando sia
in Croazia che in Paesi più lontani come l’Australia, il Canada e la Nuova Zelanda.
D. – Eminenza questo è successo solo a Banja Luka
o anche in altri posti?
R. - Si può dire lo stesso
di Sarajevo. Sarajevo è una città di 600 mila abitanti, che conta solo 17 mila cattolici,
dunque, praticamente, è diventata una città musulmana. Le moschee costruite in questi
ultimi anni sono più di un centinaio, anche in villaggi dove non è mai esistita una
moschea. C’è, dunque, una volontà di islamizzazione della regione di Sarajevo, come
del resto c’è una volontà di fare della Repubblica Serba un Paese ortodosso, dove
il governo costruisce delle chiese ortodosse – tra l’altro molto belle - ma c’è una
politica di identificazione. I serbi, anche se quelli che sono attualmente al potere
prima erano membri del partito comunista, oggi sono tranquillamente e apertamente
ortodossi.
D. – Chi ha sofferto di più durante la
lunga guerra che ha sconvolto il Paese?
R. - Le
principali vittime di questa guerra sono stati i cattolici. Hanno perso molte chiese
che sono state distrutte, bruciate, molti conventi che sono stati distrutti, molti
sacerdoti, religiosi e religiose che sono stati uccisi. La strage sofferta dalla popolazione
cattolica è grande. Devo dire però che l’atmosfera che ho trovato a Banja Luka e,
in modo particolare, a Sarajevo non é di pessimismo, non è di scoraggiamento, ma c’è
piuttosto una ferma volontà di restare lì, di testimoniare il Vangelo e di offrire
i servizi della Chiesa non solo ai cattolici ma anche agli ortodossi e ai musulmani,
soprattutto, per quanto riguarda le opere sociali le opere di educazione e di formazione
umana. Per esempio, a Banja Luka, si progetta persino una università cattolica la
cui caratteristica sarebbe proprio quella del dialogo interreligioso. Speriamo che
questa grande idea di mons. Franjo Komarica possa essere realizzata.
D.
– Anche se sofferente, che Chiesa ha trovato nel suo viaggio?
R.
- La Chiesa che ho trovato in Bosnia ed Erzegovina, anche se numericamente ridotta,
è una Chiesa viva, attiva, piena di speranza; una Chiesa molto motivata e, soprattutto,
che non manca di vocazioni sacerdotali e religiose.
D.
– Quale è il suo auspicio per i futuri rapporti tra le tre comunità presenti in Bosnia
ed Erzegovina?
R. - Il fatto già di stabilire dei
rapporti di tolleranza e, se possibile, di rispetto e anche di una certa simpatia,
e di collaborare, per esempio in un campo sociale o altro, sarebbe già una grande
cosa.(Montaggio a cura di Maria Brigini)