Benedetto XVI davanti ai 50 mila di San Giovanni Rotondo: San Pio da Pietrelcina maestro
nel combattere il male e guidare le anime
“Guidare le anime e alleviare le sofferenze: così si può riassumere la missione di
San Pio da Pietrelcina”. Lo ha ricordato stamani Benedetto XVI nella celebrazione
eucaristica che ha presieduto, davanti a una folla gioiosa e commossa di circa 50
mila persone, sul Sagrato della Chiesa di San Pio da Pietrelcina. Quella di oggi è
stata la prima visita pastorale di Benedetto XVI a San Giovanni Rotondo, a sette anni
dalla canonizzazione del Frate di Pietrelcina, e la seconda di un Pontefice nella
località pugliese, dopo quella nell’87 di Giovanni Paolo II. Il servizio della nostra
inviata Debora Donnini:
(Canto)
Una
folla composta di fedeli ha sfidato la pioggia e dalle prime luci dell’alba è arrivata
da tutt’Italia a San Giovanni Rotondo, ma anche dall’Inghilterra, dagli Stati uniti
e dall’Irlanda. Le campane suonano a festa e sulle note dell'orchestra sinfonica del
Conservatorio di musica “Piccinni” di Bari, i fedeli accolgono con gioia e commozione
palpabile, sventolando le bandierine del Vaticano, il Papa che viene a confermali
nella fede e a rendere omaggio a Padre Pio, Santo dal 2002, la cui grandezza è testimoniata
anche dai sette milioni di pellegrini che ogni anno vengono a San Giovanni Rotondo
da tutto il mondo. Un Santo, dunque, non solo della gente semplice - come a volte
si sente dire - ma in realtà, sia in vita sia dopo la morte, un Santo che ha aiutato
la conversione di tanta gente anche meno semplice.
Giunto
in aereo anziché in elicottero a causa delle difficili condizioni meteorologiche,
la prima tappa di Benedetto XVI è la cella numero 1, dove Padre Pio alloggiò per un
periodo e morì. I frati lo accolgono nel Santuario di Santa Maria delle Grazie, anziani
e giovani gli sussurrano parole all’orecchio. Poi, il Papa scende nella cripta del
Santuario di Santa Maria delle Grazie e prega in ginocchio davanti al corpo di Padre
Pio, posto in una teca di cristallo. Si inginocchia e commosso bacia il reliquario
dove vi sono i frammenti del cuore del religioso. Un cuore trafitto: Padre Pio ricevette
il dono della trasverberazione; il suo cuore, racconta lui stesso, ha battuto con
il cuore di Cristo, lo ha amato infinitamente. Quindi, il Papa accende due lampade
votive in ricordo della visita di Giovanni Paolo II, nell’87, e della sua, questa,
la prima a San Giovanni Rotondo. (Canto)
La
Messa inizia e il Papa sorride, è visibilmente felice. Benedetto XVI utilizza un calice
e una pisside più volte usati da Padre Pio. L’omelia ripercorre il Vangelo di questa
domenica: la tempesta sul lago di Tiberiade sedata da Gesù, segno della sua signoria
divina e trascendente sulle forze del cosmo. I Discepoli hanno avuto paura, non così
Gesù. Ma verrà il momento in cui anche lui proverà angoscia, senza però dubitare del
potere e della vicinanza del Padre: Cristo ha vissuto il dramma di sentirsi da una
parte “tutt’uno con il Padre, pienamente abbandonato a Lui” e dall’altra, “in quanto
solidale con i peccatori, fu come separato e si sentì come abbandonato da Lui”. Nella
Passione ha dovuto sperimentare pienamente “la distanza dall’odio dall’amore”. Alcuni
Santi hanno vissuto questa esperienza, ricorda il Papa. “Padre Pio è uno di loro”.
Un
uomo semplice, di umili origini, afferrato da Cristo per essere “strumento eletto
del potere perenne della sua Croce”. “Le stigmate, afferma il Papa, che lo segnarono
nel corpo lo unirono intimamente al Crocifisso”. Ma questo, sottolinea Benedetto XVI,
non significa perdita della personalità, Dio non annulla mai l’umano ma lo trasforma
e lo orienta al suo disegno di salvezza. Padre Pio, ricorda il Pontefice, ha conservato
il proprio temperamento e i suoi doni naturali, offerti a Dio, che se ne è servito
per prolungare l’opera di Cristo in tre modi fondamentali: l’annuncio del Vangelo,
il perdono dei peccati e la guarigione dei malati nel corpo e nello spirito. E come
è noto, tante sono state le battaglie che Padre Pio ha sostenuto nella sua vita:
"Come
è stato per Gesù, la vera lotta, il combattimento radicale Padre Pio ha dovuto sostenerli
non contro nemici terreni, bensì contro lo spirito del male. Le più grandi “tempeste”
che lo minacciavano erano gli assalti del diavolo, dai quali egli si difese con 'l’armatura
di Dio', con 'lo scudo della fede' e 'la spada dello Spirito', che è la parola di
Dio”. Padre Pio ha infatti profondamente
compreso il dramma dell’uomo:
"Rimanendo unito
a Gesù, egli ha avuto sempre di mira la profondità del dramma umano, e per questo
si è offerto e ha offerto le sue tante sofferenze, ed ha saputo spendersi per la cura
ed il sollievo dei malati, segno privilegiato della misericordia di Dio, del suo Regno
che viene, anzi, che è già nel mondo, della vittoria dell’amore e della vita sul peccato
e sulla morte. Guidare le anime e alleviare la sofferenza: così si può riassumere
la missione di san Pio da Pietrelcina, come ebbe a dire a lui anche il Servo di Dio,
il Papa Paolo VI: 'Era un uomo di preghiera e di sofferenza'”. Il
Papa lascia ai Cappuccini, ai fedeli di Padre Pio, a tutto San Giovanni Rotondo, l’eredità
del Frate di Pietrelcina: la santità. Il binario per arrivarvi, la preghiera e la
carità. Dalla preghiera e unione di Padre Pio a Cristo morto e risorto, specialmente
nella Messa, spiega il Pontefice, scaturisce la compresenza in lui di “doni soprannaturali”
e di “concretezza umana”, e la carità stessa.
“L’amore
che egli portava nel cuore e trasmetteva agli altri era pieno di tenerezza, afferma
Bendetto XVI, sempre attento alle situazioni reali delle persone e delle famiglie”.
Specialmente verso i malati e sofferenti nutriva la predilezione del cuore di Cristo
e da questo ha preso origine Casa Sollievo della Sofferenza. Inaugurata negli anni
‘50 da lui stesso, non si può capire questa istituzione se la si scinde dalla sua
forza ispiratrice che è la carità, che a sua volta nasce dalla preghiera:
"Questa
era sempre la sua prima preoccupazione, la sua ansia sacerdotale e paterna: che le
persone ritornassero a Dio, che potessero sperimentare la sua misericordia e, interiormente
rinnovate, riscoprissero la bellezza e la gioia di essere cristiani, di vivere in
comunione con Gesù, di appartenere alla sua Chiesa e praticare il Vangelo". Il
Papa mette poi in guardia gli eredi di Padre Pio dai rischi “dell’attivismo” e della
“secolarizzazione”. Lo scopo della mia visita, spiega, è anche quello di confermarvi
nella fedeltà alla missione di padre Pio:
"Molti
di voi, religiosi, religiose e laici, siete talmente presi dalle mille incombenze
richieste dal servizio ai pellegrini, oppure ai malati nell’ospedale, da correre il
rischio di trascurare la cosa veramente necessaria: ascoltare Cristo per compiere
la volontà di Dio. Quando vi accorgete che siete vicini a correre questo rischio,
guardate a Padre Pio: al suo esempio, alle sue sofferenze; e invocate la sua intercessione,
perché vi ottenga dal Signore la luce e la forza di cui avete bisogno per proseguire
la sua stessa missione intrisa di amore per Dio e di carità fraterna". Così,
spiega il Papa, nelle tempeste che possono alzarsi improvvise potrete sperimentare
più forte di ogni vento contrario il soffio dello Spirito Santo, che spinge la barca
di Pietro e ognuno di noi.
(Canto)
All’Angelus
il Papa affida tutti a Maria, la comunità dei Cappuccini, i malati, il personale che
li assiste a Casa Sollievo della Sofferenza, i gruppi di preghiera, ma anche all’intercessione
di San Pio da Pietrelcina l’Anno Sacerdotale appena iniziato. Il Papa prega anche
per i rifugiati, ieri la giornata mondiale dell’Onu a loro dedicata:
"Molte
sono le persone che cercano rifugio in altri Paesi fuggendo da situazioni di guerra,
persecuzione e calamità, e la loro accoglienza pone non poche difficoltà, ma è tuttavia
doverosa". In precedenza, sul sagrato
di Santa Maria delle Grazie, Benedetto XVI aveva ricevuto il saluto dell’arcivescovo
di Lecce e amministratore apostolico di Manfredonia-Vieste-San Giovanni Rotondo, Domenico
D’Ambrosio, che ha ricordato come il volto della misericordia del Padre sia stato
mostrato qui per 52 anni da un povero frate che pregava. La gioia della comunità per
la visita del Papa è stata espressa anche dal sindaco Gennaro Giuliani che ricorda
come un umile cella e un minuscolo confessionale abbiano fatto la Storia grazie a
Padre Pio. Il sindaco annuncia anche che San Giovanni Rotondo - dopo la città natale
di Karol Wojtyla, Wadowice - sarà presto gemellata anche con Marktl am Inn, dove è
nato Joseph Ratzinger.
Il primo degli appuntamenti pomeridiani a S. Giovanni
Rotondo porterà Benedetto XVI in visita alla “Casa Sollievo della Sofferenza”, conosciuto
in tutto il mondo come l’“Ospedale di Padre Pio”. Alle 16.45 inizierà l’incontro del
Papa con gli ammalati e il personale sanitario del nosocomio, inaugurato dal Frate
di Pietrelcina il 5 maggio del 1956. Quello del Pontefice sarà un affettuoso abbraccio
di solidarietà agli ammalati e c’è chi aspetta questo momento con particolare intensità.
La signora Rosemary, 30 anni - accanto al figlio ricoverato nel reparto di
Oncologia pediatrica - rivolge al Papa questa preghiera, al microfono della nostra
inviata Debora Donnini: R.
- Che dia una benedizione a questi bambini, perché se lo meritano, sono molto bravi.
Sono molto più maturi di noi, sanno sopportare le sofferenze, le affrontano con dignità.
Sono loro che ci danno la forza. Il Papa deve stare vicino a tutti loro, deve pregare
per loro, perché forse noi mamme in questi momenti siano talmente fragili che non
riusciamo a farlo e allora chiediamo a lui di farlo per noi. Siamo fiduciose, ce la
dobbiamo fare tutte quante.
D. - In questo ospedale
penso che abbiate un aiuto nella fede. La vostra sofferenza è sostenuta dalla preghiera,
anche verso i bambini. Lei lo avverte questo aiuto spirituale?
R.
- Molto, molto. Qui si respira un’altra aria. Qui veramente la fede è tanta. Forse
è un caso, ma mio figlio è nato lo stesso giorno di Giovanni Paolo II, l’ho chiamato
Karol, è stato battezzato il giorno di Pasqua… Siamo legati a tutta una serie di circostanze
che mi fanno dire: ci credo. Bisogna che ci crediamo tutti, è una cosa fondamentale,
se no non si va avanti. D. - Voi fate esperienza di questo sostegno da
parte di chi presta servizio nell'Ospedale?
R. -
Assolutamente sì. E’ magnifico da parte di tutti. Ho un bel legame con tutti, con
le infermiere, le dottoresse, i dottori. C’è soprattutto una dottoressa, la dottoressa
Miglionico, che è veramente magnifica. Quando sono arrivata qui non avevo più voglia
di pregare - era la seconda volta che mio figlio accusava il male - però la dottoressa
mi da la forza di andare avanti. Io molte volte dico non ce la faccio e lei mi dice:
prego io per tuo figlio, prego io per te, devi farcela, ce la dobbiamo fare insieme.
Questa è una cosa bellissima, qui dentro c’è tanto amore.
In sintonia
con l’intuizione del suo fondatore - che già mezzo secolo fa aveva ritenuto l’indagine
medico-scientifica un’attività da sviluppare al pari di quella sanitaria - la “Casa
Sollievo della Sofferenza” è considerato oggi uno dei maggiori Policlinici d’Italia,
con più di 1000 posti letto. Oltre a svolgere attività di ricovero e cura, l’Ospedale
si occupa anche di ricerca clinica, in particolare nel settore della genetica e delle
malattie familiari di tipo ereditario. Isabella Piro ha affrontato questo aspetto
con il prof. Bruno Dallapiccola, docente di Genetica medica presso l'Università
"La Sapienza" di Roma e direttore scientifico dell’Istituto di cura di San Giovanni
Rotondo:
R. - Diciamo
che la genetica per definizione si aggrappa a delle patologie che spesso sono rare
e quindi le malattie geniche, noi siamo anche il riferimento nazionale per il più
importante database che gestisce queste malattie rare e che si chiama "Orphanet",
un progetto europeo che coinvolge oggi 37 Paesi, anche al di fuori dell’Europa. Oltre
al problema delle malattie rare, ci sono settori che sono specificatamente complesse,
come ad esempio il diabete. Siamo coinvolti poi nello studio di difetti congeniti,
ad esempio le cardiopatie congenite,abbiamo un gruppo che lavora nell’ambito delle
basi genetiche dell’invecchiamento e c’è anche un settore che fa una ricerca oncologica
rivolta soprattutto ai tumori dell’intestino e a quelli della mammella.
D.
- Si sente parlare spesso di deriva genetica, ma etica e ricerca non sono incompatibili?
R.
– No, assolutamente no. Io penso che il medico dovrebbe essere, proprio per la caratteristica
della sua professione, l’emblema di un comportamento giusto e leale, corretto, nei
confronti del paziente. Certo, quando si incomincia a minare la vita fin dalle sue
origini, quando si incomincia a pensare che la persona anziana possa essere eliminata
perché non è più adatta a prestazioni che vent’anni prima poteva fare, penso che questa
non sia la medicina che noi vogliamo, che il medico non dovrebbe volere. Purtroppo,
c’è una caduta straordinaria dei valori: l’abbiamo vista dal momento in cui la disponibilità
di certe diagnostiche che si possono fare nella vita fetale stanno cercando di creare
nelle famiglie il mito del nascere bello e perfetto. Oggi ho la sensazione che molto
spesso la formazione nella Facoltà di medicina sia lontana dal riconoscere quelli
che sono i valori fondamentali per l’uomo, quindi sicuramente, la ricerca che noi
facciamo la trasferiamo al letto del paziente, ma un paziente che noi intendiamo in
questa maniera: nel rispetto della persona in tutte le sue manifestazioni e in tutti
i suoi momenti della vita.
D. - Come fare allora
per dare un nuovo slancio al giusto rapporto tra scienza e fede dimostrando che non
sono nemiche ma anzi sono complementari?
R. - Noi
abbiamo bisogno di riformare la formazione dei nostri giovani. Nessuna università
insegna l’etica, la deontologia non viene insegnata. Oltre a questo, certamente abbiamo
bisogno di recuperare i valori fondamentali all’interno della famiglia, perché molto
dei problemi della formazione nascono dal non riconoscimento dei valori fondamentali
all’interno della famiglia. Inoltre, molto di ciò che grava oggi attorno la medicina
è molto viziata dalle ideologie e dal "mercato" della salute.
D.
- Quindi, il ricercatore per essere veramente degno di questo nome quali qualità deve
avere?
R. – Direi che il ricercatore deve essere
fondamentalmente una persona onesta, una persona non condizionata da principi ideologici,
un ricercatore libero ma nel momento in cui si avvicina alla vita nascente e ai valori
fondamentali della vita, la sua libertà deve essere vigilata. Il principio per il
quale noi diciamo "no" alla ricerca sulle cellule staminali embrionali è perché noi
sappiamo che essa attaccherebbe, l’uomo, la vita dell’uomo, e non possiamo permettere
che ciò avvenga. E lo stesso "no" poniamo all’eutanasia, perché noi abbiamo il rispetto
della persona anziana, della persona che ha delle disabilità, della persona che non
è più in grado di fare quello che faceva qualche tempo prima.
D.
- Cosa significa per lei e per la Casa Sollievo della Sofferenza la visita del Santo
Padre?
R. - Io ho avuto la fortuna di incontrare
in altre circostanze il Santo Padre e riporto ancora nel cuore, a distanza di molto
tempo, l'emozione fortissima di incontrare questa persona straordinaria: è stato un
qualcosa di indescrivibile. Io penso sia un’occasione per ritornare a riscoprire e
a riflettere su quanto ci ha insegnato Padre Pio che ci stiamo forse dimenticando.