Eccezionale restauro del colonnato di Piazza San Pietro. Intervista al direttore dei
Musei Vaticani
Il colonnato che abbraccia Piazza San Pietro è in questi giorni sottoposto a un eccezionale
restauro. Dopo quasi tre secoli e mezzo l'emiciclo ideato dal genio barocco di Gian
Lorenzo Bernini aveva ormai bisogno di un rinnovamento totale. I lavori - iniziati
a marzo dopo quattro mesi di cantiere pilota e condotti secondo le metodologie più
avanzate - riprendono la logica seriale di Bernini procedendo per moduli, in modo
da ridurre l'impatto sull'intera piazza. Scopo dell’operazione è ridare stabilità
alla struttura che secondo Papa Alessandro VII Chigi, che la commissionò all’artista
napoletano, doveva essere: ‘La visibile cavea della Chiesa universale’. Il restauro,
richiesto dal Governatorato dello Stato della Città del Vaticano, vede come responsabile
della direzione artistica il prof. Antonio Paolucci, direttore dei Musei Vaticani:
ascoltiamolo al microfono di Fabio Colagrande:
R. – Nel
1657 un grande Papa, che si chiamava Alessandro VII dei Principi Chigi, incontrò proprio
qui nei Palazzi Vaticani il più grande architetto del mondo di allora, Gian Lorenzo
Bernini. Il Papa lo chiama, e tutti e due si mettono d’accordo sul progetto del colonnato,
che circonda da destra e sinistra la piazza, che fino a quel momento era uno spazio
vago, uno spazio indefinito. Bisognava sistemare la piazza, darle anche un significato
simbolico, trasformarla proprio nella cavea, il teatro dell’ecumene, della Chiesa
universale. Il Papa aveva le idee chiare, Bernini altrettanto, e venne fuori questa
idea meravigliosa dell’ovato tondo, come si chiamava e si chiama ancora nei manuali
di scienza architettonica. 280 colonne, 140 sculture apicali, una montagna di travertino:
il tutto era finito 10 anni dopo. Sembra incredibile, ma è così: nel 1667, i due bracci
del colonnato già esistevano e le statue erano messe in opera. Il Papa aveva messo
due sole condizioni: fare tutto nel tempo più breve possibile – e Gian Lorenzo Bernini
rispettò l’impegno – e altra condizione che aveva messo - i tempi sono sempre gli
stessi, situazione endemica questa – spendere il meno possibile, perché i soldi non
c’erano, erano pochi. E Gian Lorenzo Bernini rispettò anche questo punto. Solo che
questo secondo punto qualche conseguenza negativa l’ha portata, perché ha dovuto fare
economia e ha dovuto utilizzare un travertino di seconda o di terza scelta. Ed entro
subito, quindi, nelle ragioni del restauro. Dopo 300 e più anni è chiaro che i segni
di degrado cominciano ad essere evidenti e quindi bisogna intervenire su uno spettro
molto ampio di analisi e di interventi, a cominciare dalle coperture, dalla disciplina
delle acque meteoriche, dalla sostituzione delle parti lapide più degradate, dal consolidamento
delle sculture, che minacciano di staccarsi a pezzi, e che minacciano quindi anche
l’incolumità pubblica, evidentemente. Tutte queste cose insieme si faranno in un restauro
che sarà affidato alla Società di Costruzioni edili Navarra, che ha vinto l’appalto.
Presumibilmente durerà dai quattro ai cinque anni. Presumibilmente, perché come sempre
succede, è facile che durerà di più. Presumibilmente costerà circa 20 milioni. D.
– Il costo sarà coperto interamente dagli sponsor? R. – Sì,
perché chi passa per Piazza San Pietro lo può vedere. Adesso c’è l’Enel. Grandi sponsor
di assoluto prestigio sono quelli che verranno ospitati nella piazza dove ogni anno
fra i 20 e 30 milioni di persone vengono da tutto il mondo. Per lo sponsor è una visibilità
assolutamente apprezzata; per il Vaticano significa avere il denaro che, con questi
chiari di luna, sarebbe difficile avere altrimenti. D. – Quale
effetto possiamo immaginarci al termine del restauro: una piazza più luminosa? R.
– No, guai se così fosse. I restauri che si mostrano troppo chiaramente sono i restauri
peggiori. Sarà un restauro che non si vede: questo è il mio obiettivo e il mio augurio.
Vogliamo soltanto mettere il porticato del Bernini in condizione di vivere per il
tempo più lungo possibile, nelle condizioni migliori. E’ questo quello che si deve
chiedere al restauro. Guai a chiedere qualcos’altro. D. – Il
Papa si è interessato personalmente ad un progetto che coinvolge quello che è il “teatro”
delle sue udienze del mercoledì o dell’Angelus della domenica? R.
– Sì, immagino che il Papa sappia di questo restauro, anche perché fisicamente lo
vede. E credo, sono convinto, che ne sarà contento, quando il risultato sarà raggiunto,
perché in forma simbolica, in forma metaforica, il porticato di San Pietro, già al
tempo di Alessandro VII Chigi – per questo fu fatto – e ancora oggi, nell’immaginario
di tutti, rappresenta la Chiesa universale, che abbraccia il mondo intero. Quale immagine
più facile, in un certo senso, più efficace, più suggestiva di questa?