2009-06-15 15:16:06

Iran: opposizione in piazza nonostante i divieti


In Iran, dopo tre giorni dalla chiusura delle urne l’autorità suprema Khamenei ha detto di avere dato personalmente istruzioni al Consiglio dei guardiani "perchè esamini con precisione i reclami dell’opposizione sui risultati del voto”. Intanto, proseguono le agitazioni a Teheran nonostante il governo abbia vietato nuove manifestazioni contro la vittoria di Ahmadinejad. Il servizio di Marco Guerra:RealAudioMP3

Dopo due giorni di agitazioni promosse dai sostenitori del leader riformista, Mussavi, che contestano la vittoria elettorale di Ahmadinejad, denunciando massicci brogli, in Iran si fa sentire la mediazione dell’autorità suprema, l’ayatollah Ali Khamenei. Il leader religioso, cui spetta l'ultima parola su ogni questione, ha esortato in un colloquio con il candidato sconfitto alle presidenziali a ricorrere a mezzi legali per contestare l'esito del voto. Khamenei ha anche ordinato al Consiglio dei guardiani - competente per eventuali violazioni elettorali - di esaminare con attenzione il ricorso presentato da Mussavi. Da parte sua, l’organismo ha detto che darà una risposta “da 7 a 10 giorni dopo aver ricevuto i risultati ufficiali” del voto. A Mussavi è stato concesso intanto di prendere parte alla marcia di protesta che ha preso il via nella capitale, ma solo per invitare alla calma i suoi sostenitori. Secondo la stampa internazionale, prosegue però la repressione della polizia, che nella notte avrebbe lanciato un raid fra i feriti delle sommosse ricoverati in un ospedale di Teheran. L’ultimo bollettino diffuso dalla polizia parla di 170 arresti in 48 ore di disordini. E dopo la riconferma delle principali linee politiche, fra cui il programma nucleare, anche Ahmadinejad sembra aver accusato qualche ripercussione dalle proteste. Il presidente iraniano ha infatti rinviato la visita a Mosca in programma per oggi. Per un'analisi sull’attuale situazione politica iraniana, abbiamo sentito il giornalista iraniano della rivista geopolitica Limes, Bijan Zarmandili:

 
R. - La chiave, in realtà, della vittoria elettorale di Ahmadinejad si trova in un lavoro molto ampio che è stato fatto precedentemente attraverso questo partito invisibile nel Paese, cioè il partito del Pasdaran, il partito dei basiji, dei volontari. Questo, probabilmente, significa anche l’esistenza di una base elettorale, di una base sociale per la politica di Ahmadinejad, ma certamente anche un segnale di una forte frattura all’interno della società iraniana, con grandi manifestazioni nelle città iraniane, con morti e feriti a Teheran. L’Iran, a questo punto, è un Paese lacerato.

 
D. - C’è, comunque, molto fermento politico e intellettuale nella società iraniana...

 
R. - Effettivamente, come stiamo vedendo, esiste nel Paese una grande potenzialità di cambiamento cui partecipano i giovani, le donne, la società civile, gli artisti, gli intellettuali ma anche la classe media riformista. Il problema è un altro: manca una leadership capace di guidare questa grande forza e bisogna domandarsi se Mussavi sia in grado di farlo. I conservatori, Ahmadinejad, gli ultraconservatori hanno un progetto politico, hanno una strategia, hanno in mano gli apparati dello Stato. Dall’altra parte, c’è una grande potenzialità nel Paese alla quale manca però un progetto politico attuabile.

 
D. - Quindi, per ora non bisogna aspettarsi alcun cambiamento?

 
R. - E’ già cambiato qualche cosa. Il fatto stesso che non venga accettata una qualsiasi forma di soluzione imposta dall’alto, il fatto che vi sia stato oltre l’85 per cento di affluenza alle urne, il fatto che sia sia notato un grande movimento di giovani, di donne, precedentemente al giorno del voto, in tutte le città iraniane, vuol dire che esiste una potenzialità nel Paese con la quale chiunque deve fare i conti, compreso un uomo come Ahmadinejad.

 
D. - Quali saranno le ripercussioni sullo scacchiere internazionale?

 
R. - Ahmadinejad pensa di aver vinto non solo le presidenziali iraniane, ma di aver comunque influenzato gli Hezbollah libanesi, e in qualche modo di aver conquistato un buon posto all’interno del Movimento palestinese. Pensa di poter svolgere attraverso la politica nucleare un posto anche a livello della potenza regionale. Tutto questo lo rende più forte.







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