La Chiesa del Kerala commemora le vittime della repressione comunista del 1959
Nel 1959 i cattolici del Kerala scesero in piazza per manifestare contro il governo
comunista di questo Stato indiano. Ci furono 15 morti e oltre 170 mila arresti. Sono
diverse le iniziative promosse dai cristiani del Kerala per commemorare domani il
50.mo anniversario della Vimochana Samaram. Il cardinale Varkey Vithayathil, arcivescovo
maggiore di Ernakulam-Angamaly e presidente della Conferenza episcopale indiana, ha
inviato a tutti i fedeli una lettera perché ricordino quanto accaduto e preghino per
i “martiri”, 7 cattolici uccisi perché protestavano contro la politica del governo
comunista. Padre Paul Thelakat, capo redattore del settimanale Satyadeepam e portavoce
del sinodo siro-malabarico, ricorda ad AsiaNews gli avvenimenti del 1959: “La polizia
aprì il fuoco in quattro luoghi diversi uccidendo 15 persone. In altri 248 luoghi
fece ricorso ai bastoni lathi: vennero arrestate 177850 persone di cui 42745 erano
donne. Ma dopo 28 mesi di dominio il governo comunista cadde”. Nel 1957 il Partito
comunista era salito al potere vincendo le elezioni nel Kerala. Elamkulam Manakkal
Sankaran Namboodiripad era il primo ed unico governatore di uno Stato eletto in modo
democratico e non appartenente al partito dell’Indian National Congress. Una volta
al potere il governo comunista del Kerala iniziò una politica contro la Chiesa per
screditare ed eliminare l’unico ostacolo alla realizzazione di una società marxista.
A far scoppiare la rivolta fu l’introduzione di una legge sull’educazione che permetteva
allo Stato di mettere le mani sulle istituzioni legate alla Chiesa e alla Nair Service
Society (Nss), l’associazione che raccoglie opere educative e di assistenza sanitaria
della casta indù dei nair. Le due comunità scesero in piazza per protestare e con
loro manifestarono anche i partiti dell’opposizione. Seguirono gli scontri, gli arresti
ed i morti. Solo l’intervento del primo ministro Jawaharlal Nehru pose fine alle proteste. (A.L.)