Pakistan: 18 le vittime dell'attentato a Peshawar. La condanna di Ban Ki-moon
È arrivata anche la condanna del segretario generale dell’Onu, Ban Ki-moon, per l’attentato
di ieri a Peshawar, in Pakistan, quando l’esplosione di un’autobomba ha investito
il lussuoso Hotel Pearl Continental. Almeno 18 le vittime, tra questi due dipendenti
delle Nazioni Unite, una settantina i feriti. Si intensificano intanto le operazioni
antitalebani delle truppe governative sia nella valle di Swat, sia nelle aree tribali
del sud Waziristan. E si aggrava la preoccupante crisi umanitaria che coinvolge ormai
quasi tre milioni di profughi in fuga dalle zone dei combattimenti. Per un’analisi
della crisi pakistana, Stefano Leszczynski ha intervistato Margherita Paolini,
coordinatrice scientifica della rivista di geopolitica "Limes".
R. - Tutte
queste aree di frontiera, sia quella più a nord che quella del Waziristan, premettono
ai talebani - sia del lato afghano che di quello pakistano - di ruotare in qualche
modo, cioè di passare da una postazione all’altra e di mettere in difficoltà, su un
fronte e sull’altro, rispettivamente, sia le forze armate pakistane che quelle americane
che si trovano nel nordest dell’Afghanistan. C’è un aspetto che riguarda piuttosto
il boicottaggio dei rifornimenti Nato in Afghanistan, e l’attentato di Peshawar dimostra,
appunto, che c’è un controllo sulla zona dalla quale passano i rifornimenti più vitali
per la Nato. D. - L’obiettivo di ieri sembrava diretto a voler
colpire la presenza internazionale in Pakistan, in particolare le Nazioni Unite. Come
mai, considerato che c’è un’emergenza umanitaria della quale le Nazioni Unite cercano
di farsi carico? R. - Gli autori di questo attentato non hanno
scrupoli nei confronti delle Nazioni Unite, né si preoccupano degli aiuti umanitari.
Per loro è importante fare un’azione di vendetta nei confronti di quella che viene
definita una persecuzione dei militari pakistani contro il popolo pashtun.
Non dimentichiamoci che questa popolazione pashtun - che vive al di qua e al
di là di una frontiera virtuale, che è la “linea Durand” - si è sempre sentita un
unico popolo ma si trova contemporaneamente vessata, sia dal lato afghano che da quello
pakistano, e questo raddoppia le schiere dei militanti. Non è che tutti i pasthun
siano talebani, però si crea poi un sentimento di unità che alimenta un "brodo" nel
quale il terrorismo trova spazio e viene difeso. Nel caso, invece, delle popolazioni
che vivono nel nord della frontiera pakistana con l’Afghanistan si tratta di popolazioni
che si trovano tra l’incudine e il martello, cioè tra gli attentati talebani e la
repressione militare dei pakistani.