C’è un settore che continua ad essere fiorente nonostante la recessione economica.
E’ il mercato delle armi, che nel 2008 ha fatto registrare la cifra record di 1464
miliardi di dollari. E’ quanto emerge dal Rapporto annuale dell’Istituto internazionale
di ricerca per la pace (Sipri) di Stoccolma. Al primo posto nelle spese militari ci
sono gli Stati Uniti, con 607 miliardi di dollari. Seguono Cina e Francia, con una
spesa nel 2008, rispettivamente, di 85 e 65 miliardi di dollari. Perchè il mercato
delle armi continua ad essere prospero anche in questo periodo segnato dalla recessione
economica? Amedeo Lomonaco lo ha chiesto a Maurizio Simoncellidell’Archivio Disarmo:
R. - Perché
in questi anni si è portata avanti una politica internazionale che risentiva fortemente
del clima creato dalla guerra al terrorismo. Contemporaneamente, abbiamo vissuto un’epoca
in cui sembrava che i problemi potessero essere risolti con la forza militare. Purtroppo,
questa politica ha dato i frutti che vediamo e, a mio avviso, assisteremo ancora per
alcuni anni a quest’incremento delle spese militari.
D.
- Auspicando scenari privi di conflitti, nel contesto mondiale attuale uno Stato può
realmente prescindere dagli armamenti?
R. - Oggettivamente,
a parte alcuni piccoli casi, non si può oggi pensare effettivamente di vedere Stati
disarmati. All’interno di questo quadro, però, possiamo anche immaginare delle politiche
finalizzate ad una cooperazione, che creino legami di rafforzamento nelle sedi internazionali
che possano contribuire a raffreddare le aree di conflitto. I contingenti militari
possono essere utili come forze di peacekeeping, ma non devono essere lo strumento
per risolvere i problemi perchè una guerra genera inevitabilmente, prima o poi, altre
tensioni, altri conflitti.
D. - Inoltre, si deve
anche risolvere il contrasto, sempre più stridente, tra gli interessi economici delle
società produttrici di armi e l’impegno della comunità internazionale che cerca di
risolvere questi conflitti…
R. - Certamente. Ci sono
grandi interessi, ma quello che va sottolineato, tra l’altro, è che questi grandi
profitti delle aziende del settore militare non si traducono immediatamente - come
era sempre stato detto - in un aumento occupazionale. I dati a livello internazionale
ci fanno vedere in modo chiarissimo che ci troviamo di fronte ad un aumento netto
dei fatturati di queste aziende, ma anche ad una contrazione continua e prolungata
dell’occupazione. Addirittura, a livello europeo, si prevede che nei prossimi anni,
a fronte di una crescita continua di queste spese militari, ci saranno addirittura
30 mila posti di lavoro in meno.