Il vescovo di Jaffna denuncia la “tragedia” dello Sri Lanka
“La cosa più drammatica è che le Tigri tamil hanno usato la gente – i civili – come
scudi umani”, la denuncia viene dal vescovo Thomas Savundaranayagam di Jaffna, una
zona situata nella regione settentrionale dello Sri Lanka. Il presule cattolico, sempre
riferendosi ai ribelli, arresisi il 18 maggio scorso, aggiunge: “Li ho pregati di
permettere ai civili di andare in un posto sicuro nella zona controllata dal Governo,
ma non mi hanno ascoltato”. Lo “sfogo” del vescovo Savundaranayagam è stato affidato
all’associazione caritativa cattolica “Aiuto alla Chiesa che Soffre” (ACS) e, ripreso
dall’agenzia Zenit. L’esponente religioso ha anche ricordato il sacrificio di un sacerdote,
morto l'ultimo giorno degli scontri, sfinito dalle tribolazioni che aveva dovuto patire
per non aver voluto abbandonare i fedeli, che erano intrappolati nella zona dei combattimenti.
Padre Mariampillai Sarathjeevan, di 41 anni, aveva deciso di restare con i rifugiati
nella “zona di sicurezza” fino al 18 maggio, giorno in cui sono terminati appunto
i combattimenti tra i militari e le “Tigri”. Il sacerdote era consapevole dei pericoli
corsi, visto che il conflitto si era spostato proprio in quella zona. Secondo un comunicato
stampa dell'arcidiocesi ddella capitale Colombo, Padre Mariampillai è morto per un
attacco di cuore, mentre lasciava la zona di guerra con gli ultimi rifugiati. Era
un sacerdote tamil, missionario oblato di Maria Immacolata, parroco a Kilinochchi
ed era stato accanto ai civili fin dall'inizio degli scontri. Il bilancio dei combattimenti
è davvero pesante nel racconto-denuncia del vescovo di Jaffna, che riferisce di 20mila
morti ed il ferimento di 40mila persone, bersaglio, nella battaglia finale, dei colpi
dell'artiglieria pesante e dei bombardamenti. Attualmente ci sono più di 200mila rifugiati,
e 18 parrocchie, a Kilinochy e Mullaitivu, sono “totalmente distrutte”, ha comunicato
il vescovo. Una situazione in cui “ogni tentativo di dialogo si è rivelato inutile”.
Nel mese di marzo, infatti, Savundaranayagam aveva anche scritto al Capo di Stato
Mahinde Rajapakse, rivelando di aver chiesto ai separatisti di permettere alla gente
intrappolata vicino alla zona degli scontri di poter raggiungere, attraverso un corridoio
di sicurezza, un santuario situato in un territorio posto sotto il controllo governativo.
Il presule che denuncia lo stato dei fatti in Sri Lanka si è recato sotto copertura
a portare aiuto nelle aree del conflitto rivelando di avere visto: “le parrocchie
cadere una dopo l'altra”. “Non ho accesso a quei luoghi ora”, ha sottolineato con
amarezza. “Alcuni dei miei sacerdoti sono rimasti fino alla fine con la gente e sono
stati salvati dall'Esercito. Sono ancora nei campi di rifugiati”. Nonostante il drammatico
quadro della situazione locale i sacerdoti cattolici continuano a celebrare la messa
domenicale, visitano le famiglie e forniscono cibo alla popolazione stremata dagli
scontri. (A.V.)